fincantieri monfalcone
In merito alla spinosa questione dei cantieri navali di Monfalcone, a rischio chiusura, riceviamo i comunicati di Ugl Trieste e Confindustria, che riportiamo per intero:

Fincantieri, Ugl:
“Tutelare futuro di cinquemila famiglie”

“Va fatto tutto il possibile per tutelare il futuro della Fincantieri di Monfalcone e quello di oltre cinquemila famiglie dei lavoratori diretti e dell’indotto”.
E’ quanto dichiarano, in una nota congiunta, il segretario generale dell’Ugl Metalmeccanici, Antonio Spera, e il segretario provinciale dell’Ugl di Gorizia, Giovanni Falanga, aggiungendo che “si stanno susseguendo notizie allarmanti su realtà strategiche per il sistema Paese, con le produzioni di Ilva e della Fincantieri di Monfalcone che, se non ci si muove con responsabilità e concretezza, rischiano di subire un duro arresto: le ricadute sociali ed economiche sarebbero disastrose”.
“Nel pieno rispetto delle azioni della magistratura – prosegue la nota - ribadiamo la nostra preoccupazione per i dipendenti di uno dei più grandi cantieri del territorio nazionale, che non meritano di attraversare un ulteriore periodo di preoccupazione: hanno fatto fronte ad anni di problemi, difficoltà e cassa integrazione, partecipando attivamente all’attuale rilancio e alla riaffermazione del gruppo sul mercato”.
“Non si può permettere – si conclude nella nota - che tutto ciò che è stato fatto in questi anni venga vanificato”.


Sergio Razeto, Presidente di CONFINDUSTRIA VG:

Assistiamo con preoccupazione e sgomento a quanto sta avvenendo nel cantiere di Monfalcone.
Se da un lato non si può prescindere dal rispetto delle norme, infatti, dall’altro non è ammissibile che ancora una volta si proceda alla chiusura dell’attività di un intero stabilimento industriale, senza preoccuparsi delle conseguenze economiche e sociali che ne derivano.

In realtà non si parla di un grave pericolo per la salute e per l’ambiente, ma dell’interpretazione di una norma sulla gestione degli scarti di lavorazione prodotti a bordo nave, su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione. Pur non entrando nel merito del provvedimento della Suprema Corte, si sarebbero potute valutare misure alternative al sequestro, in modo da non inibire di fatto l’attività della Fincantieri e delle imprese dell’indotto a Monfalcone.

Parliamo infatti della più grande impresa cantieristica europea, che adotta procedure analoghe a quelle dei suoi competitors europei, nel rispetto delle specifiche norme sulla gestione ambientale.
Potremmo parlare di inquinamento burocratico più che di inquinamento ambientale, un inquinamento però che produce delle ripercussioni su oltre 5.000 lavoratori, e impatta non solo sulla tenuta dei bilanci di Fincantieri, ma anche su quelli delle oltre 300 aziende dell’indotto. Un difetto di forma, che peraltro non danneggia l’ambiente né inquina il territorio, di fatto sta causando un gravissimo pericolo sulla tenuta del sistema economico della nostra regione.

Ancora una volta si percepisce una forte ostilità verso l’industria, additata sempre più come la causa di tutti i mali possibili. Se non si vuole più l’industria in Italia bisogna che lo si dica apertamente, senza alibi. Senza il manifatturiero, però, non ci sono le risorse necessarie a sostenere il Paese, il suo sistema di welfare, il suo sistema di cura dell’ambiente, di sostegno alla cultura. Si tratta di scelte strategiche, che devono essere assunte dalla politica e dalle parti sociali, non certo surrettiziamente attraverso atti amministrativi.

Noi con orgoglio affermiamo l’importanza della nostra attività: ci mettiamo tutto l’impegno possibile per far sì che l’Italia continui a essere una delle più importanti economie mondiali; se poi diamo fastidio, vorrà dire che ne trarremo le logiche conseguenze.


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