Partendo da Basovizza, piccola frazione del Carso triestino, si arriva in pochi minuti all’inizio del sentiero che ci porterà al bosco Bazzoni e alla Grotta Nera. Più precisamente, bisogna raggiungere la Foiba di Basovizza, monumento storico della nostra città.
Da questo punto, troveremo a pochi passi dalla strada asfaltata, una tabella indicante il percorso; bisogna dire che la segnaletica è ben disposta, ed è praticamente impossibile sbagliare strada.
Il sentiero all’inizio è molto ciottoloso, e si raccomanda l’uso di calzature adeguate. Il livello di difficoltà in compenso è praticamente zero, in quanto non ci sono da compiere salite o discese impegnative e ci si ritrova in pochi minuti in full-immersion nella natura.
Il paesaggio varia in maniera repentina, dalla spianata erbosa alla boscaglia fitta, così come è frequente che accada negli itinerari carsici. Il tutto nel massimo relax: l’unico rumore che sentirete è quello dei rami mossi dal vento e dagli uccellini cinguettanti.
Non mancano però le brutte sorprese. Purtroppo, non tutti gli escursionisti sono rispettosi nei confronti della natura, e a volte (non spesso per fortuna) ci si imbatte in qualche discarica improvvisata.
Il Centro Didattico “Eliseo Osualdini” di Basovizza (Trieste) segue un percorso naturalistico tra sentieri alberati, laghetti e prati. Termina in prossimità della Grotta Nera, che è a sua volta visitabile.
Il Centro è aperto al pubblico, con visite guidate, ogni prima domenica del mese. In altri giorni, previa prenotazione, è possibile organizzare visite guidate per gruppi o scolaresche con almeno 15 partecipanti.
La Grotta Nera è aperta ogni prima domenica del mese con i seguenti orari:
Gennaio dalle 10,00 alle 15,00
Febbraio dalle 10,00 alle 15,00
Marzo dalle 10,00 alle 15,00
Aprile dalle 10,00 alle 16,00
Maggio dalle 10,00 alle 17,00
Giugno dalle 10,00 alle 18,00
Luglio dalle 10,00 alle 18,00
Agosto dalle 10,00 alle 18,00
Settembre dalle 10,00 alle 18,00
Ottobre dalle 10,00 alle 17,00
Novembre dalle 10,00 alle 16,00
Dicembre dalle 10,00 alle 15,00
In altri giorni, previa prenotazione con anticipo di almeno 48 ore, sono organizzabili visite guidate per gruppi di persone o scolaresche con almeno 15 partecipanti.
Gruppo Speleologico San Giusto - via Udine 34 Trieste - Tel. 040 422106
www.gssg.it - info@gssg.it
http://grottanera.gssg.it - grottanera@gssg.it
in collaborazione con:
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Università di Pisa - Dipartimento Scienze Archeologiche
Tutori Stagni e Zone Umide del Friuli Venezia Giulia
La Particella Sperimentale
Il Carso come lo conosciao oggi non è il frutto di un equilibrio naturale, bensì il risultato di anni di pazienti e tenaci esperimenti di rimboschimento, resi necessari dall’incontrollato disboscamento e pascolo del passato. La Particella Sperimentale all’interno del Bosco Bazzoni, in particolare, è stata dalla fine dell’800 agli anni ’30 una zona adibita alla sperimentazione di piantagioni e tecniche di coltivazione di conifere esotiche, da esportare poi sul resto del territorio carsico. In seguito abbandonata per circa mezzo secolo, è stata ripristinata dal GSSG e adattata alla didattica ambientale dalla fine degli anni ’70. I sentieri che oggi lo percorrono conducono tra diversi ambienti tipici dell’altipiano carsico, mettendo in risalto e diverse specie di macchia mediterranea e i diversi fenomeni carsici epigei. Una puntuale opera di classificazione ed etichettatura della flora consente di illustrare ai visitatori, e in particolare alle scolaresche, lo stretto rapporto tra le specie vegetali e l’habitat nel quale vivono. La Particella Sperimentale del Bosco Bazzoni, un’area di circa un ettaro nella quale vivere la natura ma soprattutto imparare a rispettarla, conoscerla e proteggerla.
Gli stagni
Negli ultimi 40 anni, nella provincia di Trieste, buona parte degli stagni (o Caluze) e delle cisterne artificiali sono andati scomparendo a causa del loro inutilizzo o degrado. Ciò ha inevitabilmente condotto a una consistente diminuzione del numero degli anfibi tipici delle nostre zone. Con la realizzazione di uno stagno all’interno del Centro Didattico si è inteso raggiungere un duplice obiettivo. Da un lato si è voluto ricreare l’habitat caratteristico di molte specie di animali e piante tipiche del Carso triestino e degli stagni un tempo presenti a Basovizza e che rischiavano di scomparire per sempre da queste zone. Dall’altro si è voluto ripristinare un luogo nel quale gli organismi che compongono l’ecosistema delle piccole zone umide possono essere facilmente riconosciuti, osservati e studiati, anche da quanti (giovani e adulti) non ne avrebbero altrimenti la possibilità. Lo stagno quindi come strumento di salvaguardia della bracofauna tipica della nostra provincia ma anche strumento didattico per l’educazione e la divulgazione della salvaguardia degli anfibi e del loro habitat.
Grotta Nera
La musealizzazione della Grotta Nera nasce da un progetto didattico centrato su due criteri guida ben delineati. Da un lato si è voluta creare un’esposizione di vita e cultura preistoriche, dall’altro si è scelto di realizzare i nuovi manufatti adottando il criterio della massima reversibilità che consenta, nel caso, il ripristino totale della cavità al suo assetto originario.
La Grotta Nera, pertanto, si propone come luogo nel quale si fa didattica della preistoria, concentrandosi in particolare sulla vita quotidiana dell’uomo dell’antichità. Ma soprattutto si fa didattica coinvolgendo tutti i sensi del visitatore, immergendolo nel buio e in un ambiente freddo e umido, com’è quello ipogeo.
L’illuminazione selettiva dei siti lo costringe a soffermarsi su una sola delle ricostruzioni archeologiche per volta, lsciando alla voce narrante della guida il compito di traghettarlo da un’epoca alla successiva.
Storia e leggenda della Grotta Nera
Cavità di interesse archeologico, è conosciuta comunemente come Grotta Nera a causa del suo aspetto odierno dovuto all’uso disastroso di cui è stata oggetto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: in essa veniva eseguita la bonifica dei residuati bellici. In seguito alle esplosioni, sul fondo della caverna si è aperto un varco che permette di raggiungere, tramite un piccolo pozzo di 8 metri, un ulteriore vano.
La cavità venne investigata archeologicamente nel 1893 dal Moser che mise in luce, in uno scavo profondo 2,50 metri, una stratigrafia comprendente tre livelli diversi dei quali solamente l’ultimo comprendeva resti archeologici.
Nel 1913 il Battaglia, coadiuvato dal Cossiancich, nell’esaminare in un contesto molto ampio lo studio dei rinvenimenti archeologici del territorio triestino, ebbe modo di constatare la consistenza del livello archeologico della cavità: dopo aver rinvenuto in superficie, sul fondo della dolina, cinque pezzi di coltellini prismatici di selce e numerose schegge dello stesso materiale, eseguì uno scavo all’interno della grotta e a 70 cm di profondità raccolse frammiste a cenere e carboni una scheggia di selce ed alcune ossa, ma non rinvenne nessun frammento ceramico. La cavità quindi venne denominata dal Battaglia “Caverna delle Selci”. Con questo nome è conosciuta ancora oggi nel campo dell’archeologia.
Successivamente il Battaglia ebbe modo di esaminare dei reperti attribuiti allo scavo del Moser e li considerò resti ceramici appartenenti al periodo Eneolitico. Descrisse anche alcune selci, un lisciatoio di arenaria e una falange di ruminante con un foro aperto presso l’articolazione distale. Per questo ultimo elemento, il Battaglia, dato che esaminò solamente una fotografia dell’oggetto, potè formulare solo un’ipotesi, cioè che potesse essere stato uno zufolo.
Nel 1943 nella cavità venen intrapreso uno scavo a cura della Società Triestina Speleologica. Il Bordon, che eseguì l’indagine archeologica, menzionò in una relazione manoscritta, conservata presso la locale Soprintendenza, il rinvenimento di un coltellino di selce e un punteruolo in osso. NOn riscontrò presenza di ceramiche. Probabilmente lo scavo venne eseguito nello stesso punto di quello del Moser, anche se il Bordon ritenne che il materiale da lui ritrovato fosse stato dilavato dall’esterno della cavità, dove secondo lui si trovava lo stanziamento umano.
Ogni ulteriore indagine archeologica risulterebbe oggi vana in quanto le esplosioni hanno danneggiato nella sua totalità il deposito archeologico eventualmente ancora esistente.
La Caverna di Basovizza non è nota solamente per essere un sito archeologico: anche il più recente studio dul folklore delle grotte si è interessato ad essa. Narra una leggenda che nel passato essa ospitasse un lazzaretto: ai lebbrosi ivi relegati veniva dato da mangiare attraverso il camino che fora la volta della grotta. Da qui l’appellativo di “Caverna dei Lebbrosi”. Un’altra nota storico-folkloristica è data dalla mappa catastale del 1832 in cui troviamo segnata la caverna con la denominazione di “Grotta Petschina” (Nella lingua slovena pecina=caverna).
Dopo aver esplorato la zona dei laghetti (popolata di rane gracidanti nella bella stagione) e aver visto l’ingresso della Grotta Nera, continuiamo il percorso che porta al ciglione dell’Altipiano carsico. Una bella passeggiata, che termina in un luogo panoramico. Da qui possiamo ammirare la città di Trieste in tutto il suo splendore, tempo permettendo. Nelle foto seguenti, purtroppo, la foschia non permette di apprezzare appieno la sua bellezza. E’ consigliabile, perciò, di effettuare l’escursione nelle prime ore del mattino di una giornata soleggiata e limpida.
Dalla parte opposta, possiamo ammirare la Val Rosandra, una vera e propria oasi naturale, dove la natura selvaggia ha la meglio sull’uomo. Brulla, franosa, quasi lunare, non mancherà di destare stupore nel turista che giunge per la prima volta da queste parti. Arroccata in uno sperone di roccia, possiamo scorgere l’antica chiesetta di Santa Maria in Siaris, oggi semi-abbandonata. Un tempo era meta dei penitenti, che pare vi giungessero scalzi per espiare le loro colpe. Giungervi a piedi già in condizioni normali con la dovuta attrezzatura, è alquanto faticoso e difficoltoso. Ora però, è tempo di tornare indietro…