Questo che vi vogliamo proporre è un percorso particolare, forse il più suggestivo, di una Trieste antica che riscopre la voglia di vivere: la Città Vecchia.
Dentro le Mura: non è solo un modo di dire, ma una realtà storica; un tempo, fino al nostro Medioevo, la città era chiusa all’interno delle mura di fortificazione e corrispondeva all’attuale centro storico. Da San Giusto, quindi, inizia la nostra avventura, che si snoderà attraverso le viuzze irte e strettissime che compongono il dedalo della Trieste di un tempo.
Partendo dalla fontana situata a monte della Scala dei Giganti, raggiungiamo il parco della Rimembranza, una giardino lapidario che vuole ricordare le vittime della guerra. Dal viale Ragazzi del ‘99 raggiungiamo la via Capitolina, strada panoramica che conduce al Castello di San Giusto, posto alla sommità del colle.
Dalla via Capitolina è possibile ammirare un bel panorama della città. Dopo pochi passi arriviamo al Castello.
Non ci fermiamo in questo punto, al quale dedicheremo uno spazio apposito. Continuiamo il nostro percorso imboccando in discesa la via del Castello, una strada molto ripida pavimentata in lastricato. Qui vi era la sede dell’antico Vescovado, diventato nel 1928 Distretto Militare e ora in rovina. Sul lato sinistro troviamo l’ingresso del ricreatorio E. Toti.
Una targa ricorda il vigile urbano Angelo Cattaruzza assassinato dai rapinatori il 31 dicembre 1925.
Scendendo ancora, alla fine di via del Castello incrociamo la via della Cattedrale e la via delle Monache. Prendiamo quest’ultima, sede dell’antico Monastero di S. Orsola e poi sede vescovile. Qui, un tempo venivano consegnati i neonati figli di ragazze madri, di genitori molto poveri o illegittimi.
Da via delle Monache si diramano altre vie, molto strette e spesso a fondo cieco. Troviamo quindi via delle Scuole, via dell’Ospitale, androna S. Saverio.
Prendiamo ora la via delle Scuole, che diventa via S. Cipriano dopo una curva a gomito. Da qui si inizia a scorgere la struttura della chiesa di S. Maria Maggiore.
La chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, detta popolarmente dei Gesuiti per ricordare la sua origine, esemplare unico di stile barocco tra le chiese locali, sia per la ricchezza d’arte che per storia cittadina è uno degli edifici sacri più importanti di Trieste.
Santa Maria Maggiore è legata alla prima presenza della Compagnia di Gesù a Trieste. I Padri gesuiti giunsero nella città nel 1619 e s’inserirono nella vita della Chiesa locale in un momento religiosamente molto delicato per l’influenza in queste terre della Riforma protestante. Operarono soprattutto nella formazione culturale della gioventù con l’insegnamento scolastico nel loro Collegio aperto nel 1620. Rimasero a Trieste fino alla soppressione della Compagnia nel 1773. (Sono ritornati in diocesi nel 1910). Per provvedere alla cura d’anime diedero inizio alla costruzione della chiesa di Santa Maria Maggiore al centro della città storica. La prima pietra venne posta dal vescovo Rinaldo Scarlicchio il 10.10.1627. La consacrazione avvenne molto più tardi l’11.10.1682 a chiesa non ancora ultimata. L’edificio di culto è dedicato all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Il 21 novembre 2011, in occasione della Festa della Madonna della Salute, l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi ha proclamato Santa Maria Maggiore “Santuario diocesano”.
A lato della chiesa di S. Maria Maggiore possiamo vedere la chiesetta di S. Silvestro, la più antica della città (sec. XI o XII). Sulla facciata di questa bella basilica romanica spicca un sobrio ed elegante rosone, mentre, davanti a quella che fu la porta principale, possiamo ammirare il portico, pure esso romanico, sormontato dal campanile che, probabile antica torre di difesa lungo le mura della città, è stato poi ornato, nell’ultima ricostruzione, da eleganti bifore.
Una pia tradizione, attestata da una lapide commemorativa del 1672 murata sulla parete postica della chiesa, fa qui risalire la presenza di un luogo di culto in quella che era stata la casa delle prime cristiane di Trieste, le due martiri Tecla ed Eufemia.
Nel corso dei secoli singolari furono le vicende della basilica che la stessa lapide ci ricorda essere stata “primum templum et Cathedrale” della città.
La finestra sul lato destro, con profonda strombatura e transenna originale ancora sul posto, e le due transenne marmoree più tardi inserite nel campanile, ci dimostrano come ci sia stata una fase di costruzione più antica di quella romanica.
Sopra la porta principale una lapide in latino ci ricorda le ultime vicende allorché nel 1785, sotto l’imperatore Giuseppe II, la chiesa di San Silvestro fu posta a pubblico incanto al prezzo fiscale di 1500 fiorini.
In tale data alcuni membri della Comunità Evangelica di confessione elvetica, in gran parte immigrati svizzeri dai Grigioni, la acquistarono e, dopo averla restaurata in modo sobrio, la riaprirono al culto riformato, dedicandola a Cristo Salvatore.
Nel 1927, a causa dei danni di un violento terremoto, fu restaurata ripristinando il primitivo stile del trecento. Nel 1928 la basilica venne dichiarata monumento nazionale.
Dalla fine del 1800 alla comunità Elvetica si è affiancata una comunità Valdese, anch’essa riformata, dando vita ad una integrazione totale della vita comunitaria pur nella distinzione amministrativa. La comune fede in Cristo Gesù Salvatore e Signore ha portato ad un’unità di azione e di testimonianza, pur nella libertà delle strutture esteriori e nella responsabilità ed autonomia di ciascuna comunità.
Di recente, impegnate fortemente nell’aiuto umanitario delle popolazioni colpite dai rivolgimenti nei Balcani, le Comunità hanno anche sviluppato una certa presenza culturale sia attraverso una biblioteca specializzata in teologia biblica e storia della Riforma, sia attraverso il “Centro Culturale A. Schweitzer” che promuove conferenze e concerti. L’organo - di gran pregio - è stato di recente completamente restaurato ed accompagna i culti delle comunità. (da Rete Civica di Trieste)
Dietro la chiesa, nella piazzetta S. Silvestro, si snodano altre stradine - via della Cattedrale, via dei Colombi, via della Bora e via del Trionfo. Quest’ultima ci conduce in piazza Barbacan, dove possiamo mirare i resti dell’arco romano di Riccardo.
Da qui prendiamo la via dei Capitelli e arriviamo in via di Crosada, non lontani dal Teatro Romano (al quale apriremo un capitolo a parte).
Le stradine e i vicoli continuano in questo suggestivo labirinto, e viene da chiedersi, per esempio, come si può entrare in via dei Cavazzeni, stretta quasi quanto le spalle di un uomo.