Nato a Trieste il 13 maggio 1907 da genitori istriani, trascorse l’infanzia e la giovinezza a Pisino d’Istria.
La famiglia, il cui cognome originario era Niederkorn (dal 1928 verrà adottata la forma “tradotta” in Granbassi, pseudonimo con cui Mario firmava i suoi primi articoli), era di lontana origine lussemburghese. Trapiantatasi in Istria fra Sette e Ottocento, i Niederkorn si distinsero per due passioni: la musica, in cui espressero buoni talenti, e l’irredentismo.
Mario Granbassi crebbe nel piccolo centro istriano – che, fatto eccezionale per l’epoca, e significativo del conflitto ideologico fra due etnie, possedeva due licei, uno italiano ed uno croato – in un ambiente intellettualmente vivace e aperto. Il padre professava idee moderatamente socialiste con vocazioni irredentiste, alla Edmondo Puecher.
Nel 1918, caduto l’Impero austroungarico, Trieste e l’Istria venivano annesse all’Italia. Nel ginnasio liceo “Gian Rinaldo Carli” di Pisino Mario compì gli studi secondari. Risalgono a quegli anni i suoi primi scritti: traduzioni in italiano di lavori teatrali (in particolare Molière; appassionato di teatro aveva organizzato la filodrammatica studentesca), satire di vita cittadina, una serie di canzoni dialettali rimaste nella memoria. Ma l’attività più intensa era già rivolta alle corrispondenze e alle collaborazioni con i giornali: specialmente Il Piccolo, Il Corriere istriano, e i settimanali satirici Marameo! e La coda
del diavolo. Non mancano però collaborazioni occasionali a testate meno “di casa”: Il Gazzettino, Il Resto del Carlino e persino il Corriere della Sera.
Conclusi gli studi liceali nel 1926 pensò di trasferirsi a Trieste, per frequentare l’università, che allora contava la sola facoltà di economia e commercio. Trovò affettuosa ospitalità e aria di famiglia nella casa della zia Noemi Premuda Niederkorn.
Ma, nel portare al Piccolo un suo “servizio” appena scritto, si imbattè quasi per caso nel segretario di redazione Umberto Di Bin, che non l’aveva mai visto prima ma aveva notato i suoi scritti.
Il dottor Di Bin al giornale era personaggio autorevole, di grandi qualità professionali, e gli si riconosceva uno speciale fiuto nell’intuire talenti e qualità nei collaboratori. Mario venne subito presentato al capo redattore Mario Nordio. E con grande emozione conobbe
in quella occasione anche il direttore Rino Alessi e Silvio Benco, due personalità di spicco nel panorama del giornalismo nazionale. Evidentemente l’impressione fu molto positiva, se Alessi gli disse quasi bruscamente: “Telegrafa ai tuoi e avvertili che sei assunto al giornale…” Al Piccolo la sua affermazione fu rapida, tanto che a soli ventiquattro anni (1931) ne divenne il capocronista.
Nel 1931 iniziò anche la collaborazione con Radio Trieste – che verrà inaugurata ufficialmente il 28 ottobre di quell’anno – dove si distinse come conversatore e radiocronista, una professione allora quasi tutta da inventare.
Ma ottenne il maggior successo – che varcò ben presto i confini regionali per coinvolgere ascoltatori in tutta Italia ed oltre – con una trasmissione per ragazzi nella quale, sotto lo pseudonimo di “Mastro Remo” intratteneva i giovani ascoltatori in un originale radiodisegno
(un’invenzione, come si vedrà, di Renato Mori, primo “reggente” di Radio Trieste).
Nel libro Mastro Remo si confessa (Cappelli, Bologna, 1932) raccontò retroscena e curiosità di quel primo anno di attività radiofonica.
Nel 1934 diede vita a un settimanale a colori per ragazzi, intitolato anch’esso “Mastro Remo”, e strettamente legato alla sua trasmissione radiofonica: un esperimento di straordinaria qualità, unico nella storia del giornalismo giuliano.
Parallelamente le tappe della sua vita privata e familiare: nel 1930 le nozze con Fernanda Gasparini (e, pochi mesi dopo, la scomparsa prematura del padre); nel ’34 la laurea e la nascita di Mariagrazia, nel ’37 quella di Gianfranco. Ma anche un’altra perdita dolorosa, quella del fratello Mauro, giovane dottore in agraria e promettente ricercatore.
Il 9 luglio 1938 partì per il fronte della guerra civile spagnola. Era ufficiale degli alpini, ma fu assegnato alla divisione mista italo-spagnola delle “Frecce Azzurre”, al comando di un plotone di prima linea.
Dal fronte inviò numerosi articoli, che furono pubblicati dal Piccolo: l’unico quotidiano italiano ad avere per mesi un proprio giornalista sulla linea di combattimento.
All’Eiar, pochi giorni prima di cadere in combattimento, inviò il testo di una conversazione intitolata “Altoparlanti in trincea”, nella quale descrisse singolari episodi di polemica e propaganda politica, avvenuti a parole gridate da una trincea all’altra. Poiché in quei giorni le notizie dal fronte giungevano poche e frammentarie, l’Eiar fu in grado di trasmetterla – e di pubblicarla sul Radiocorriere – appena qualche settimana dopo la sua morte.
Durante la permanenza al fronte Mario Granbassi scrisse un diario, nel quale descrive la vita di trincea ed esprime i propri ideali e le proprie emozioni. Il diario – di cui esistono i taccuini autografi, presenti in questa rassegna – rimase inedito a causa degli eventi della seconda guerra mondiale.
In anni recenti è stato oggetto di approfondimento da parte di laureandi dell’Università di Trieste.
Mario Granbassi cadde in combattimento a 32 anni, il 3 gennaio 1939, alla testa del suo plotone esploratori di battaglione sul fronte della Catalogna, alle pendici di Monte Fosca.
Alla sua memoria furono conferite la Medaglia d’oro al valor militare e, dallo stato spagnolo, la “Medalla militar”.
I suoi resti sono custoditi nel tempio ossario di Saragozza, assieme a quelli di tutti i caduti italiani in terra iberica, legionari e repubblicani, a somiglianza di quanto è avvenuto, per i combattenti spagnoli, nella Valle de los Caìdos.
Nel 1940 gli viene intitolata una via cittadina. Il nome verrà rimosso nel 1945 in quanto inadeguato a rappresentare i valori della Resistenza e dell’Antifascismo.