Nato nel 1972, il piccolo gruppo è sorto con l’intento di offrire a degli amici aventi lo stesso hobby, una maggiore possibilità di praticarlo. Già all’atto della fondazione, quando si discusse di statuti, programmi e scopi, si stabilirono di comune accordo, proprio per rimanere nell’ambito di una speleologia di svago non troppo impegnativa, dei precisi limiti:
L’indipendenza del gruppo, che si autofinanzia, da qualsiasi altra organizzazione od ente, la zona di operazioni ristretta a quell’angolo di Carso, a noi più vicino e per certi lati più trascurato, racchiuso pressappoco dal mare a Sud, dal confine di stato a Nord, da Aurisina, San Pelagio, fino al confine di stato ad Est e Monfalcone, Lago di Pietrarossa, Lago di Doberdò, Bonetti fino al confine di stato ad Ovest.
L’interesse dei soci è concentrato prevalentemente nella ricerca, nella disostruzione e nell’ esplorazione di cavità nuove, servendo le già conosciute e catalogate soltanto come palestra per l’addestramento. Sino ad oggi sono state sempre rispettate queste regole derogando da esse solo in alcuni specifici casi. Questa premessa è necessaria per offrire agli altri una quanto più possibile esatta ed onesta immagine degli speleologi.
Passando al lavoro svolto ed ai successi conseguiti, l’acquisizione e l’arredamento di un’adeguata sede per il gruppo e l’indispensabile attrezzatura, sono stati i primi problemi felicemente risolti, anche se è stata volutamente contenuta la spesa per l’attrezzatura a disposizione, a soltanto 200 metri di scalette ed accessori, pensando, tenendo a mente quanto detto più sopra, che un quantitativo più alto non sarebbe servito probabilmente mai.
Libri e pubblicazioni d’argomento, acquistati e ricevuti in omaggio da altri, formano la base di una piccola biblioteca che continua ad arricchirsi.
Tra i successi va sicuramente inserita la grotta “Andrea” (V.G. n. 4804 – rilevatore sig. Ugo Stoker) scoperta sulla quota 144 di Jamiano nel 1973, attualmente la più profonda nel Carso monfalconese, nella quale defluiscono le acque del lago di Doberdò, formando sul fondo tre laghetti con sifone praticabile da speleosub ancora da esplorare. Essa è stata per il gruppo un primo forte incentivo a continuare sulla via intrapresa, offrendo anche l’occasione di collaborare con l’A.C.E.G.A. di Trieste per i prelievi e le analisi delle acque. Ora la grotta continua ad essere tenuta sotto osservazione da altri gruppi.
Quello che consideriamo il nostro secondo importante lavoro è la disostruzione, partendo da quota zero e giungendo fino a –8 metri, di un pozzetto naturale nei pressi del Villaggio del Pescatore (V.G. n. 4850 – rilevatore sig. Ugo Stocker) iniziato nella speranza di giungere sulla perpendicolare di una sorgente d’acqua sulfurea della quale rimaneva memoria, impresa che ha fatto si che l’attività del gruppo uscisse dal campo della pura speleologia, sconfinando in un altro, l’archeologia, dimostratosi poi prodigo di soddisfazioni (una di quelle deroghe alle regole alla quale si accennava più sopra).
L’inghiottitoio, infatti, si dimostrò ricco di reperti archeologici (romani, paleoveneti fino al neolitico con resti di macro e micro fauna), causa i quali, come d’obbligo in questi casi, sono stati fermati i lavori, denunciando il ritrovamento alle autorità competenti e chiedendo contemporaneamente il permesso di proseguirli.
Dopo il sopralluogo, l’allora Soprintendente alle Antichità di Trieste, arch. Alessandro Degani, con lettera, invitò il gruppo a proseguire nella disostruzione del pozzetto, fermo restando che tutti i reperti dovevano venire consegnati alla Soprintendenza. Rimane una documentazione fotografica , più una relazione sugli scavi . In questa occasione ebbe inizio una collaborazione con la Soprintendenza ricca di insegnamenti e la quale dura tuttora con reciproca soddisfazione.
Tralasciando gli altri, i reperti di epoca romana rinvenuti consistono in ossa umane riferibili a due o più scheletri (dai denti sembrerebbero di giovani), frammisti alle quali c’erano 19 dischetti metallici , riconosciuti poi come elementi ornamentali di una armatura leggera in cuoio, ed una moneta di bronzo recante su un lato l’immagine di una trireme e sull’altro un Giano bifronte, nella quale va riconosciuto un asse del II° secolo a.C.
Il ritrovamento potrebbe venire ricollegato ad un episodio storico ben noto, la battaglia tra i Romani e gli Istri del 178 a.C. sulla quale il dibattito scientifico è ancora aperto specie per ciò che concerne l’individuazione della zona dove effettivamente avenne lo scontro: noi qui ricordiamo il ritrovamento; le risposte, dopo opportuni studi ed analisi, spettano agli esperti.
Ormai, è giusto ammetterlo, in contraddizione a quanto stabilito al punto tre del nostro regolamento, cioè unico campo speleologia, l’archeologia entra di prepotenza a far parte della vita del gruppo, pensando di non poter respingere l’opportunità offerta per approfondire la conoscenza di questa branca della scienza e stabilire proficui contatti con gli ambienti di lavoro che di essa si occupano.
Proprio come fiancheggiatori dell’attività svolta nella nostra zona dalla Soprintendenza Alle Antichità di Trieste, nella persona della dottoressa Franca Maselli Scotti, direttore archeologo, e suoi collaboratori, si colse il maggior successo per il quale due soci, quali membri del gruppo Flondar, ricevettero dal Ministero ai Beni Culturali ed Ambientali, un premio in denaro: l’uno per il ritrovamento delle rovine di una casa romana, che poi risultò avere pavimenti in cotto e musivi , sul Locavaz.; l’altro per la segnalazione di una fornace romana. Il che potrebbe essere indice di un insediamento romano di una certa importanza.
Nel 1978, su segnalazione del carabiniere, sig. Gino Berghignan , è stata esplorata , nei pressi del confine di stato, vicino a Precenico, una nuova cavità profonda 58 metri con sul fondo interessanti salette che si sviluppano per metri 35, grotta rilevata, su invito, dal sig. Matteo Moro del G.T.S, in quanto il gruppo è sprovvisto tanto della necessaria conoscenza tecnica quanto degli strumenti atti a portare a termine questo tipo di lavoro. Dietro espressa richiesta del G.T.S, che desiderava dedicare la nuova scoperta alla memoria di un loro amico, il gruppo Flondar, d’accordo lo scopritore, ha volentieri acconsentito e la cavità è ora conosciuta come “Grotta Renato Mozina” (V.G. n.5029 ).
A queste tappe importanti della vita del gruppo Flondar, vanno aggiunte tutte le altre iniziative collaterali prese in altri settori, come il lavoro svolto nelle zone terremotate a Montaperta, Cornappo, Debellis e Moggio-Udinese ; la partecipazione a mostre e la proiezione di diapositive nelle scuole , in sale private e fra amici, con l’intento di far conoscere alla gente quelle bellezze che stanno, è il caso di dirlo, letteralmente sotto i loro piedi, favorire la presa di contatto con altri gruppi, organizzando per loro proiezioni di diapositive riguardanti spedizioni ed esplorazioni ben al di sopra delle modeste possibilità del gruppo , com’è stato il caso del gruppo “C.R.C. – Centro Ricerche Carsiche ” di Gorizia, che ha illustrato ad un pubblico affascinato le meraviglie del “Comici”; ultimi ospiti sono stati i paleontologi dell’Università di Pisa dott. Fabio Negrino e dott. Giovanni Boschian che hanno trattato gli studi effettuati sullo scavo del riparo di Visogliano.
Il rendersi utili agli studiosi che si interessano alla nostra zona , come il colonnello sig. Abramo Schmid, profondo conoscitore della viabilità romana di questi luoghi , raccogliendo per loro dati e facendo a loro da guida , assieme alle impagabili occasioni di assistere , aiutando a livello di manovalanza a scavi archeologici, prima con la Soprintendenza di Trieste sul Locavaz-Randaccio e poi a scavi preistorici e protostorici con la spedizione dell’Istituto di Geologia dell’Università di Ferrara e l’Istituto di antropologia e paleontologia umana dell’Università di Pisa diretta da Giorgio Bartolomei e Carlo Tozzi nel riparo di Visogliano e ultimamente con il direttore del Civico Museo di Storia Naturale e suoi collaboratori, sono attività tali da favorire incontri, dialoghi e confronti, portando arricchimento tanto sul piano della conoscenza quanto su quello umano e, nello stesso tempo, aiutano a prolungare la vita del gruppo.
Nel luglio 2000, i soci anziani con l’apporto di nuove leve hanno costituito legalmente l’Associazione Gruppo Speleologico Flondar, avente lo scopo di promuovere, sviluppare e coordinare la scoperta di cavità naturali e l’approfondimento della conoscenza del Carso triestino con particolare riguardo al patrimonio storico-archeologico.
Nel novembre 2001 il gruppo si è associato alla Federazione Speleologica Isontina e nell’aprile 2002 è diventato componente della Federazione Speleologica Italiana, della Federazione Speleologica Regionale e della Federazione Speleologica Triestina.