IL “VERDI DI TRIESTE” METTE IN SCENA IL CAMPIELLO DI WOLF-FERRARI
con la regia di LEO MUSCATO e la direzione del M° FRANCESCO CILLUFFO
Giovedì 9 aprile con repliche l’11, 12, 17, 18 e 19 aprile è in scena al Teatro Lirico “Giuseppe Verdi di Trieste” l’opera Il Campiello di Ermanno Wolf-Ferrari nell’allestimento coprodotto dalla Fondazione lirica triestina e la Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino - Opera di Firenze.
Costante nell’attività compositiva di Ermanno Wolf-Ferrari è l’aver voluto ricreare con raffinata modernità i modelli delle sue commedie liriche che sono Mozart da un lato e il melodramma giocoso settecentesco italiano dall’altro. La tragedia e il melodramma avevano dominato la scena musicale italiana per quasi mezzo secolo. E fino all’avvento di Falstaff le grandi tradizioni dell’opera giocosa sembravano destinate ad estinguersi. Passata dal riso di Rossini al sorriso di Donizetti, l’opera comica infatti acquistava solo con Falstaff l’amabilità e l’attrattiva di una favola venata di saggezza a cui è consono il saper sorridere delle cose umane con indulgenza. Falstaff chiude in bellezza il secolo aperto con Figaro. Un’opera saggia e profonda, per essere giovane ma allo stesso tempo rivelare una eterna giovinezza, basta guardarla dall’ottica in cui la senilità confina con l’infanzia poiché – a dirla con lo stesso Wolf-Ferrari – “l’uomo avanzando negli anni non arriva ad ammazzare, dentro, il puer aeternus che è l’anima”.
Anche Puccini e Giordano si rivolsero all’opera comica, e pure Mascagni, che lavorò al soggetto de Le Maschere con Illica, come un ritorno alla commedia dell’arte, ritenendo che le maschere fossero ancora una realtà popolare viva. Fu proprio il clamore suscitato dalla nuova opera mascagnana che richiamò Wolf-Ferrari verso Goldoni. E il tema delle maschere finì per identificarsi con le commedie goldoniane. I caratteri e l’ambientazione creati dalla penna di Goldoni restituiscono un affresco settecentesco di grande ironia. E Goldoni significava Venezia, Venezia settecentesca. Così l’opera di Wolf-Ferrari intende assecondare ed esaltare questi umori. Ma non si limita a questo: la musica affonda anche nella malinconia sottesa già nel testo, essendo il compositore perfettamente consapevole che l’essenza del genio si nasconde nella sua inquietudine. “Goldoni! L’ho amato sempre, sin da bambino” , racconta Wolf-Ferrari. Così da Le donne curiose fino al Campiello passando per i Quatro Rusteghi, le sue opere sono ammirevoli per la naturalezza della musica e l’aderenza all’ambiente. Soprattutto nel Campiello che è un’opera popolaresca e corale per eccellenza: Venezia non è meno protagonista di quanto lo siano i personaggi che in essa si riflettono e si riconoscono. E il recitativo si modella spontaneamente sul ritmo della parlata dialettale popolana. La partitura di Wolf-Ferrari corrisponde cioè allo spirito della commedia la cui azione si svolge nel corso di una giornata di carnevale dalle prime ore del mattino alla sera. Lo straordinario equilibrio tra giocondità e malinconia che caratterizza questa partitura testimonia allo stesso tempo la fondamentale serietà del genere comico. Come disse lo stesso Wolf-Ferrari: ” La commedia in fondo è la vita vista atrocemente….” E si firmava “goldoniano per disperazione”….
Nella messa in scena al “Verdi di Trieste” il regista Leo Muscato, coadiuvato da Alessandra De Angelis parte dalla considerazione che Goldoni è uno di quegli autori “a cui rivolgersi ogni volta in cui sente l’esigenza di interrogare il mondo che lo circonda” proprio perché è Goldoni l’autore italiano che più ha influenzato il suo teatro. Qualificare Goldoni soltanto come genio insuperabile, non sarebbe bastato a
renderlo vivo. Occorreva renderlo “necessario” ai nuovi spettatori a cui si rivolgeva. Nonostante l’ambientazione settecentesca, la musica di Wolf-Ferrari rende l’opera decisamente novecentesca. Ed è stato quest’anacronismo a suggerire al regista la chiave da utilizzare per aprire “le segrete” di tanta meraviglia: rendere necessarie al pubblico di oggi, le opere che Goldoni e Wolf-Ferrari produssero per i loro rispettivi spettatori.
Muscato trova quindi nella “trasformazione” la chiave di volta per la realizzazione registica dello spettacolo.
Da qui la scelta di ambientarlo in tre epoche diverse: le scene di Tiziano Santi, con il disegno luci di Alessandro Verazzi e i costumi di Silvia Aymonino portano lo spettatore in un vero e proprio campiello veneziano, il protagonista di questa storia, il “personaggio” vivo e mutevole che vede scorrere i secoli sui propri muri, nelle calli, sui ponti, nei canali, che cambia parte del suo aspetto col passare dei secoli, da Goldoni, a Wolf-Ferrari, fino ai giorni nostri, senza comunque smarrire la sua identità originaria, dettata non solo dal luogo – Venezia è eterna – ma anche dai suoi abitanti. Cambiano gli usi e i costumi, ma i personaggi conservano gli stessi caratteri tratteggiati da Goldoni. Non cambiano i sentimenti di fondo e le urgenze primarie degli esseri umani.
Il signor Carlo Goldoni nella messa in scena di Muscato è il testimone muto di questa trasformazione. È una sorta di deus ex machina, che è lì per ricordarci che in teatro tutto è finzione. Ma se la finzione è autentica, può davvero aiutarci a comprendere meglio la realtà.
A rendere la sottile raffinatezza dell’ equilibrio tra ilarità e malinconia, giocato sul filo del rasoio il direttore e maestro concertatore Francesco Cilluffo ha a disposizione, oltre all’Orchestra del “Verdi” e al Coro istruito dal M° Paolo Vero, una compagnia di canto molto affiatata in tutti i ruoli, in cui ciascun personaggio incarna un aspetto caratteriale immediatamente riconoscibile, dalla Gasparina di Daniela Mazzucato squisita interprete delle due ultime e passate edizioni dell’opera ( 1982 e 1992), alla Luçieta di Alessandra Marianelli, dalla Gnese di Rita Cammarano alla Orsola di Patrizia Orciani, dalla Dona Cate Panciana di Max René Cosotti al Zorzeto di Alessandro Scotto di Luzio, e poi Anzoleto di Filippo Morace il Cavalier Astolfi di Clemente Antonio Daliotti e Fabrizio dei Ritorti interpretato da Nicolò Ceriani.
www.teatroverdi-trieste.com
Le foto sono di Pietro Paolini/Terraproject/Contrasto