Il malumore serpeggia a tutti i livelli, dal produttore al consumatore, da quando vige la norma sull’Equo Compenso, che permette alla Società Autori ed Editori di guadagnare cifre iperboliche dalle copie per uso privato.
Ormai c’è, ma questo non significa che non si possa modificare, rivedere. Sull’equo compenso oggi alla sala delle Colonne presso la Camera dei deputati, il doppio panel di interventi condotto da Fulvio Sarzana e Arturo di Corinto ha portato un contributo di pensiero che davvero sembra impossibile non suggerisca un minimo ripensamento, in futuro, sul discusso concetto di costo aggiuntivo sulla elettronica di consumo per compensare la “copia privata”.
I temi sciorinati nel dibattito, aperto da Anna Masera, sono gli stessi già anticipati dalla trasmissione PresiperilWeb su radioradicale ieri sera, in una puntata dedicata proprio a questo argomento e alla quale ha partecipato anche uno dei relatori dell’incontro di oggi, Claudio Lamperti, vicepresidente di ANITEC Confindustria, insieme ad altri ospiti. Il dibattito non solo fatica a mettere sullo stesso piano i vari punti di vista, ma ora necessita anche di alcuni punti fermi che, numeri alla mano, consentano di discutere di concetti verificati ed omogenei, consentendo alla discussione di entrare così nel merito delle scelte intraprese.
Al contrario di altre battaglie come Agcom o Webtax, infatti, le nuove tabelle dell’equo compenso hanno smosso l’industria, gli interessi del digitale, coinvolge attori molto importanti e generalmente ascoltati dalle istituzioni. È stato facile dunque riunire un parterre che assai difficilmente qualcuno potrebbe indicare come “nemico della cultura”. Così come l’inchiesta di Gianfranco Giardina ha puntualizzato molto concretamente le perplessità fin qui espresse sulla gestione della SIAE, riscossore e distributore di questi introiti.
Il paradosso economico della SIAE
Il report sui bilanci della SIAE lascia sconcertati. Pur sapendo, ormai da anni, che la società degli autori presieduta da Gino Paoli lavora secondo norme così complicate da rendere pressoché impossibile capire con quale logica distribuisce il 93% degli introiti che riceve (il 7% lo tiene per sé), nel convegno alla Camera sono emersi tre elementi che spiegano chiaramente la dipendenza della SIAE dall’equo compenso e quanto sia peregrino credere che i cambiamenti tecnologici che hanno così evidentemente superato il concetto stesso di copia privata possano convincere la società a farne a meno.
La raccolta da copia privata è superiore a quella derivante dal diritto d’autore.
I criteri di distribuzione delle quote sono secondari, cioè utilizzano altre ripartizioni analitiche come base proporzionale, come per esempio i diritti d’autore già incassati per altre fattispecie. Questo crea incoerenze e ritardi nei pagamenti.
I pagamenti fortemente differiti della SIAE sono un affare per la società stessa, tanto che ricava di più in interessi su questi fondi parcheggiati che dal proprio rimborso spese, oltre che dalle cifre accantonate per ricorsi più o meno presunti.
Gli scenari sono diversi. Ci saranno, intanto, iniziative in tribunale, più di qualcuno impugnerà il decreto al Tar. C’è poi la prospettiva di modificare l’articolo 71 septies che regola l’equo compenso, per allargare la base decisionale. Molti ritengono, me compreso, che la vigilanza unica del Mibact sia un problema e che una maggiore concertazione, magari con il ministero dello Sviluppo Economico, porterebbe ad esiti migliori.
(fonte webnews)