Calorosissimi applausi, anche a scena aperta, hanno tributato il successo dell’allestimento dell’opera Verdiana andato in scena il 23 maggio u.s. al Teatro Verdi di Trieste, in una versione riveduta rispetto a quella presentata nel luglio 2013, nell’ambito delle celebrazioni dell’anno verdiano e, originariamente, concepita per una rappresentazione all’aperto. Donato Renzetti ha impresso all’orchestra della Fondazione lirica triestina una raffinata concertazione e direzione che ha ben sottolineato le molteplici e complesse atmosfere dell’opera evidenziandone toni e fraseggi. Una lettura di grande livello improntata a contrasti chiaroscurali e sonorità corpose, a ritmi incalzanti che vedono l’apice in alcuni passaggi come l’arrivo dei profughi di Aquileia o nella cavatina di Odabella, strumentata delicatamente per flauto, corno inglese, arpa e violoncelli, che Renzetti ha messo in luce con grande forza espressiva.
Molto buona la prova del coro, diretto da Paolo Vero, rivelatosi come uno dei protagonisti a tutti gli effetti. Enrico Iori è stato un “Attila” molto convincente e carismatico sin dalle prime note. Voce corposa, rotonda, che si estende ad una tessitura da basso profondo con armoniche coloriture ed accenti vibranti e dominio delle note gravi. Un’interpretazione ricca di sfumature che lo vede al centro di un tormento interiore molto ben reso anche attorialmente. Ottimo il debutto nel ruolo di “Ezio” di Devid Cecconi. Vocalità sempre ben timbrata, di ampio registro, con coloriture e toni di vibrata intensità. La sua voce calda e rotonda riesce non solo a dare peso e corpo alle note ma è anche in grado di eseguire magnificamente i piani. Di notevole impatto emotivo il primo duetto con Attila dove entrambi gli interpreti delineano al meglio i loro personaggi, ricchi di tormentate venature psicologiche. Sergio Escobar ha tratteggiato il suo “Foresto” con colore chiaro e stile elegante; bella voce che risulta, a tratti, un po’ monocorde pur spaziando in un ampio, incisivo fraseggio. Anna Markarova, nel ruolo di “Odabella” non riesce sempre a coniugare aggressività e lirismo: la veemenza interpretativa di alcuni passaggi e la sofferta dolcezza nei piani e nei filati, alla ricerca di coloriture e tinte drammatiche. Vi è una certa propensione all’urlato nei registri acuti. Buono ma senza particolari slanci, il coinvolgimento attoriale. Di spessore le interpretazioni di Antonello Ceron (Uldino) e Gabriele Sagona (Leone) che completano la compagnia di canto. La regia di Enrico Stinchelli, che si avvale con grande efficacia del supporto delle nuove tecnologie, risulta alquanto di maniera. Straordinarie le proiezioni dinamiche di Gerald Ordway e Alex Magri, che hanno arricchito la scena con momenti di grande pathos, creando di volta in volta atmosfere rarefatte, cruente, dinamiche o sognanti; magnifico il video dell’armata a cavallo e quello, a sipario, del fluttuare dell’acqua. Di grande effetto ed eleganza le fughe prospettiche delle scenografie create da Pier Paolo Bisleri a cui si devono anche l’originalità e l’eleganza dei costumi.
Si replica sino al 31 maggio.
MARIA LUISA RUNTI
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