Teatro Verdi di Trieste- STAGIONE SINFONICA 2013-14
Venerdì 31 gennaio 2014 ore 20.30 turno A
Sabato 1 febbraio 2014 ore 18.00 turno B
IL M° DONATO RENZETTI dirige Čajkovskij e Brahms
FRANCESCA DEGO VIOLINO SOLISTA
Donato Renzetti, presenza di grande rilievo nell’attività lirico-sinfonica del “Verdi” di Trieste, sarà sul podio dell’Orchestra della Fondazione lirica triestina, in occasione del concerto della Stagione Sinfonica 2013-14 in programma il 31 gennaio alle ore 20.30 e in replica l’ 1 febbraio alle ore 18.00.
Il concerto si apre con l’esecuzione di un brano di Johannes Brahms in cui i sentimenti protagonisti sono speranza e gioia: l’Akademische Festouvertüre (Ouverture per una festa accademica) op. 80 in do minore per orchestra. Di carattere giovanile e nient’affatto accademica, la composizione contiene anche numerose citazioni di canti studenteschi come il famoso “Gaudeamus igitur “, che è poi diventato un inno ai piaceri della vita e della gioventù. Questa ouverture fu composta da Johannes Brahms nel 1880 come opera di ringraziamento per l’Università di Breslavia che gli aveva conferito la laurea honoris causa.
Il Concerto per violino e orchestra op.35 di Čajkovskij che segue, presenterà per la prima volta al pubblico del “Verdi” di Trieste, la violinista Francesca Dego. L’artista è stata tra i protagonisti dalle celebrazioni per la Giornata della Memoria al Parco della Musica di Roma, assieme alla Junior Orchestra di Santa Cecilia nel concerto “I violini della speranza”, trasmesso in diretta su Rai 5 ed eseguito con alcuni dei strumenti restaurati provenienti da vari campi di concentramento, dai ghetti, e da musicisti che dopo la guerra in Israele fondarono l’Orchestra Filarmonica di Tel Aviv. Francesca Dego conta anche altri importanti traguardi: a soli 16 anni ha suonato con Mintz a Tel Aviv durante la guerra con il Libano sotto i bombardamenti e recentemente ha debuttato alla prestigiosa Sala Tchaikovskij di Mosca, dove si sono tenute molte prime esecuzioni di Šostakovic.
Sono note le difficoltà tecnico-virtuosistiche affidate allo strumento solista del Concerto per violino e orchestra op.35 di Čajkovskij, poiché la parte del solista non si risolve esclusivamente in un’esibizione di bravura: i più grandi interpreti del concerto - da Oistrakh, Heifetz e Milstein ai giorni nostri - hanno infatti saputo svelare le più sottili e preziose sfumature espressive di un capolavoro che, ribaltando in toto il giudizio di Hanslick, dopo un secolo e mezzo continua ad ammaliare il pubblico soprattutto in virtù della sua intatta fragranza primaverile. Potente critico musicale del tempo, Eduard Hanslick infatti, fu l’autore di una celeberrima stroncatura pubblicata sulla «Neue Freie Presse”. Il Concerto, il 4 dicembre 1881 fu esegito per la prima volta a Vienna dal giovane violinista Adolf Brodsky, sotto la direzione di Hans Richter. Il successo fu subito notevole tanto che, dopo un secolo e mezzo, mantiene intatta la sua freschezza e la ricchezza di slanci, anche nelle allusioni popolareggianti (come ad esempio quelle del Finale) che nascono da una sottigliezza e un’ equilibrio che rimandano ai migliori modelli classici.
La speranza e la gioia espresse nell’Ouverture Accademica eseguita in apertura di concerto, si ritrovano anche nella Quinta Sinfonia del grande compositore russo, che sarà eseguita nella seconda parte del programma.
“Nonostante inizi in tonalità minore, la Sinfonia procede” - spiega il M° Renzetti - “verso melodie che cancellano qualsiasi ombra di pessimismo. Nella Sinfonia è palese l’ammirazione per l’ambiente musicale tedesco e soprattutto per Brahms che infusero speranza nel grande compositore russo, non sempre compreso in patria.”
La prima esecuzione della Sinfonia n. 5 in mi minore diretta da Čajkovskij stesso a San Pietroburgo il 17 novembre 1888 ebbe successo. Caduta presto in dimenticanza, nel nostro secolo ha ripreso il posto che le spetta fra i capolavori del compositore e come pagina tra le più rappresentative dell’Ottocento. Sul piano stilistico, la Quinta si presenta come una delle opere più mature di Čajkovskij: all’impeto e alla dimensione folclorica della Quarta (lontana ormai 15 anni) subentrano qui un’eleganza e un controllo di grande equilibrio. Lo conferma la grande varietà di soluzioni che contrassegna un primo tempo assai elaborato, ricercato nel ritmo e nell’impiego della strumentazione. Così per la cantabilità inesauribile del secondo tempo. Colpo di genio raffinato e seducente è l’adozione come Scherzo di un Valzer esplicitamente dichiarato come tale. Il ritorno del motto iniziale prepara l’atmosfera drammatica e incalzante del Finale, quasi trionfalistico, in andamento di Marcia che sembra in apparenza contraddire l’idea pessimistica della lotta impari dell’uomo con il proprio destino comunque adombrata nei tempi precedenti. Una scelta che si spiega con una poetica dell’eccesso e del paradosso ormai squisitamente decadentistica che apparenta questo Čajkovskij, sia pure ridondante e aristocratico, ai grandi maestri della crisi di fine secolo.