Le porcellane italiane della collezione Lokar tra l’Oriente e l’Europa
Museo d’Arte Orientale – Palazzetto Leo
La nuova vita del Museo d’arte orientale di Trieste
Rinnovato da poco negli allestimenti, il Museo d’arte orientale di Trieste, aperto nel 2001 per valorizzare le importanti collezioni pervenute ai musei soprattutto grazie ai fitti rapporti di commerci marittimi che la città ha intrattenuto con l’Estremo Oriente, si propone ora come punto di riferimento e vetrina per quel collezionismo di nicchia che ha costituito raccolte conosciute e apprezzate in Europa ma è pochissimo noto ai triestini.
Il Museo d’arte orientale, ospitato nel settecentesco Palazzetto Leo, elegante edificio situato a ridosso di Piazza dell’Unità, ha tutte le caratteristiche per aspirare ad essere uno scrigno delle meraviglie, luogo ideale per interpretare le molteplici relazioni tra Trieste e l’Oriente, fatte di preziosi souvenir ma anche di rapporti economici, trasporti, storie umane, richiami letterari, e per mettere in mostra di volta in volta le cose più curiose e rare che conservano questo e gli altri musei civici.
Questo fortunato 2013, che ha visto, dalla riapertura estiva in poi, una crescita molto consistente di visitatori, tra cui moltissimi turisti, finirà dunque con un evento emblematico di questo nuovo corso del MAO di Trieste, la mostra delle preziose porcellane di Giovanni Lokar, a cui si aggiunge anche l’apertura di una piccola sala conferenze, che permetterà di organizzare incontri e ed eventi dedicati a temi inerenti l’Oriente e le arti applicate.
La mostra “Fragili tesori”, una piccola storia della porcellana italiana dentro una collezione europea.
Le porcellane raccolte dal collezionista triestino Giovanni Lokar costituiscono, per la loro rarità e la diversificazione delle tipologie e delle manifatture, un esempio della miglior produzione della porcellana italiana del Settecento, a partire dal ricco nucleo della manifattura veneziana di Giovanni Vezzi , la prima a essere aperta in Italia.
La collezione, frutto di anni di appassionate e colte ricerche sul mercato italiano e internazionale, comprende anche porcellane delle fabbriche tedesche, in particolare di Meissen, e della viennese manifattura di Claudio Innocenzo du Paquier. Nell’occasione di questa mostra è possibile ammirare la sezione della porcellana italiana della collezione, accostata a oggetti orientali e delle manifatture di Meissen e di Vienna, allo scopo di dimostrarne le influenze stilistiche sulla ricca produzione della penisola italiana nelle sue differenti regioni.
Come è noto, fin dalla fine del Cinquecento l’Europa aveva tentato di imitare la porcellana cinese, importata e venduta a caro prezzo dalle Compagnie delle Indie e oggetto privilegiato del collezionismo dei sovrani europei.
Ad essere coronati da successo furono gli esperimenti iniziati alla corte di Augusto II di Polonia e Principe Elettore di Sassonia – anche conosciuto come Augusto il Forte (1670-1733) – che diedero luogo al cosiddetto “Boettger Steinzeug”, un grès rosso ispirato alla produzione cinese di Yi-xing (1675-1725). Questa scoperta è il frutto della collaborazione fra il chimico Walter von Tschirnhaus e Johann Friedrich Boettger, arcanista imprigionato dall’Elettore di Sassonia, ed è alla base della prima produzione di porcellana dura in Europa, avvenuta a Meissen nel 1710.
Orgoglio del sovrano, il segreto della porcellana di Meissen, venne tenuto nascosto per un breve periodo, finché nel 1718 aprì a Vienna la manifattura di Claudio Innocenzo du Paquier, attiva fino al 1744.
Pochi anni dopo, nel 1720, a Venezia ebbe avvio la manifattura di Giovanni Vezzi, terza manifattura europea e prima manifattura italiana di porcellana, rimasta attiva fino al 1727.
Dieci anni dopo, nel 1737, aprì in Toscana, a Doccia presso Firenze, la manifattura del marchese Ginori.
La porcellana europea e italiana della prima metà del Settecento fu soprattutto caratterizzata dalla imitazione di quella di Meissen, che a sua volta proponeva una sua particolare rivisitazione delle tematiche orientali.
La decorazione della porcellana
La decorazione della prima porcellana europea si distinse per una imitazione dei fiori di pruno a rilievo della produzione cinese “Blanc de Chine”, nome con cui si designava una porcellana bianca finissima della regione di Dehua,importata in Europa alla fine del XVII secolo:vennero copiate sia le sculture di Bu dai e di Kuan Yin, ma soprattutto la produzione vascolare con fiori a rilievo, dapprima solo in bianco, poi in policromia o in associazione a dorature.
Con l’arrivo a Meissen nel 1720 di Johann Gregorius Hoeroldt , venne introdotta la pittura a piccolo fuoco e la conseguente decorazione a cineserie policrome entro cartelle, oltre a una ricca decorazione floreale che associava motivi decorativi e cromie della “famille verte” e” famille rose” cinese, prodotte sotto i regni di K’hang Hsi (1654–1722 )e Yongzheng(17223-1735) .
Tale stilemi decorativi si diffusero anche nelle manifatture italiane, che le rivisitarono alla luce di influenze stilistiche locali . In Italia, la prima produzione di porcellana mise soprattutto in evidenza forme barocche, talora riprese dalla coeva argenteria o addirittura dalla produzione orientale, con una sovrapposizione di motivi decorativi locali a tematiche desunte dalla coeva produzione di Meissen e di Vienna.
In Veneto, la manifattura fondata a Venezia da Giovanni Vezzi ( 1720-27)ebbe soprattutto una breve ma affascinante produzione di forme barocche associate a un reimpiego di decorazioni vegetali di influsso medio-orientale, mentre le successive fabbriche di Hewelcke( 1762-1763) Cozzi ( 1765-1804) e Nove (1762-1825) si indirizzarono verso l’uso di forme rococò con decori talora desunti da Meissen e successivamente anche da Sèvres.
Un neoclassicismo di impronta più tedesca caratterizzò invece la produzione delle manifatture Fontebasso e Vicentini del Giglio.
A Firenze, a Doccia, nel 1737 aprì la manifattura fondata d Carlo Ginori, che grazie alla presenza del pittore Carl Wendelin Anreiter trasferì nella porcellana toscana cromie e stilemi propri della fabbrica viennese mentre a Napoli, nella produzione di Capodimonte ( 1743 -1759), la presenza di artisti come Giovanni Caselli e Giuseppe Gricci , diede luogo a una produzione in cui si mescolavano influssi tedeschi e tradizione locale. La successiva Real Fabbrica Ferdinandea( 1771-1806)fu viceversa emblematica di un neoclassicismo che trasmetteva sia l’eco delle scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei che le recenti innovazioni stilistiche delle porcellane viennesi di epoca neoclassica e parigine del primo impero.
L’influsso francese si fece particolarmente sentire nell’Italia occidentale, dove la manifattura torinese di Vinovo ( 1776-1825) e quella savonese di Jacques Boselly(1768-1808)diedero luogo a una porcellana influenzata dalla produzione d’oltralpe di cui proposero forme, cromie e decorazioni.