Nel rione di Campo Marzio a Trieste c’è una vecchia casa, dove sono accaduti in passato dei fatti inquietanti. Una preziosa testimonianza ci arriva da una persona che ha lavorato per due anni in quella casa come sorvegliante/assistente (la costruzione era adibita a casa di riposo per anziani). Tiziana (il nome della sorvegliante) racconta di episodi, vissuti all’interno di quelle mura, che hanno il sapore del film horror; episodi condivisi con le sue ex-colleghe dal 1988 al 1990.
Nella Trieste antica, quella zona era chiamata “Casa del diavolo” ma si suppone per altri motivi, meno inquietanti: si dice che un tempo, il termine casa del diavolo, era comunemente usato per indicare una zona fuori mano. La casa rossa (non è davvero rossa, ma i mattoni sono in vista) è un edificio su due livelli risalente agli inizi del Novecento, con balcone e un piccolo giardino dalla vegetazione inestricabile che non ne permette l’accesso. Il portoncino d’ingresso sembra originale, d’epoca. Un luogo ideale, tranquillo, per una casa di riposo; forse troppo tranquillo e la casa ampia e spaziosa traboccante di misteri e segreti, sepolti nel passato di un’epoca buia. Ma di questo parleremo dopo.
Torniamo ora a Tiziana. Già nelle prime notti passate all’interno di quelle mura si fece viva l’impressione che quel lavoro sarebbe mutato in un tormento.
“Ero incredula, diffidavo fino allora del paranormale e delle presenze spiritiche. Quando dal salotto situato al pianterreno sentii pronunciare il mio nome in maniera netta con voce cavernosa, cercai di dare un’interpretazione logica: la stanchezza, l’ora tarda, i rumori esterni e i rantoli degli anziani potevano creare una sorta di suggestione. Così purtroppo non era. Cercavo di trovare tutta la concentrazione possibile, per tornare alla piena lucidità, e capii che la voce era reale. Il mio nome era nitidamente pronunciato, e nessun anziano ospite della struttura (tutte donne tranne un uomo con la voce molto flebile) avrebbe potuto conoscerlo e chiamarmi insistentemente con quelle tonalità. Decisi a quel punto di seguire la direzione della voce, che portava inequivocabilmente alle cucine. Lì dentro, però, non c’era nessuno.
Anzi, puntuale arrivò la beffa. Giunta alle cucine, la voce sembrava provenire dal salotto, da dove ero partita”.
Questo, natralmente, fu solo l’antipasto di quello che da lì a poco sarebbe successo.
“Non feci in tempo a riprendermi dallo shock, che iniziai a scorgere una moltitudine di luci provenienti dal primo piano, visibili dalle scale. Al primo piano dormivano gli anziani, non autosufficienti. La luce notturna nella loro stanza era blu, e non c’erano fonti di luce bianca provenienti dall’esterno in quanto le finestre erano chiuse e le tapparelle abbassate. Questo spettacolo durò una decina di minuti e nel mentre, l’ospite anziano sembrava stesse parlando con qualcuno. Andai naturalmente a controllare, e l’uomo mi disse che sua moglie e altre persone non lo lasciavano dormire; cercava di mandarle via, parlando ad alta voce. Ma la moglie non era presente, anzi, era morta da tempo”
I fatti inquietanti si susseguirono a ritmo incalzante, tant’è che Tiziana decise di parlarne con le colleghe. Inaspettatamente, anche loro confermarono i tormenti a cui erano sottoposte durante la notte e rincararono addirittura la dose, raccontando di aver udito voci di bambini. La paura, anzi il terrore, prese il totale dominio. Ma non era finita lì.
“Una sera, mentre stavo seduta sul divano, il mio sguardo fu catturato dalla porticina dell’armadio dei medicinali. Benchè fosse chiusa (da me stessa) con il chiavistello, questa si aprì molto lentamente, e svelò all’interno un rosario che prima non c’era. Da quel momento, altre porte di altri armadi si apersero, senza un ordine ben definito. Le mie sicurezze e la mia freddezza cominciarono a vacillare”.
Tutti quei segnali, potevano avere una matrice comune? Era la domanda pertinente, che ebbe presto una risposta: i sotterranei della casa, adibiti a lavanderia.
“La prima volta che dovetti scendere nei sotterranei, sentii una presenza minacciosa che m’impediva di permanere in quel cupo antro da tregenda. Spesse mura di cemento, e alcune porte murate rendevano l’ambiente ancora più tetro. Un ampio salone che soffocava e dava la sensazione di svenire. Non resistetti nemmeno 5 minuti. Le mie colleghe, quando risalirono, diedero in escandescenze: una si mise a formare delle barricate con degli scatoloni, un’altra pregava in ginocchio, la terza urlava in maniera concitata - Vogliono me! Vogliono me! - A quel punto - dissi - meglio non rimanere sola di notte, mai!”
A quel punto Tiziana decise di continuare il lavoro sempre in compagnia di qualcuno, amici o colleghi. In coppia, i fenomeni paranormali s’acquietarono. Ma quella non era la soluzione al problema, così, d’accordo con le colleghe, chiamarono il parroco di piazzale Rosmini per benedire la casa. Questo metodo però non si rivelò efficace. Il capo della struttura residenziale, saputo dei malumori, decise di abbattere le porte murate nei sotterranei per vedere cosa vi contenessero. Sorprendentemente (ma non troppo) ebbe accesso a una rete di cunicoli che comunicavano con i rifugi antiaerei della Seconda Guerra Mondiale. In una sala nascosta, notò un vecchio altare in pietra.
A questo punto ci viene in aiuto la storia: durante la guerra, nella zona di Campo Marzio, la gente si rifugiava durante i bombardamenti. Testimonianze raccontano di gruppi di persone che vivevano nascoste proprio sotto la casa “rossa”. Durante un attacco aereo, fu colpito il rifugio vicino, mietendo numerose vittime - nessun sopravvissuto. Le barelle con i corpi esanimi arrivarono in superficie, e fu cosparsa di zolfo quella zona, come nelle pesti medievali. Questi fatti potrebbero non avere alcun collegamento con le strane presenze della casa, ma il pensiero delle anime ridotte all’eterna dannazione in quei labirinti fa giocoforza prepotenza nella mente.
Tiziana, quando smise di lavorare nella casa di riposo, si accorse suo malgrado di aver acquisito un potere: si accorgeva in anticipo dell’imminente morte delle persone, anche per cause non dovute all’età o alla malattia. I volti le apparivano giallastri, quasi cadaverici, ma le persone erano ancora vive e vegete. Da lì a poco, capii che la loro sorte era segnata. L’incubo continuò ancora per diverso tempo, e ora, per fortuna, rimane solo come un brutto e lontano ricordo.
Questa storia non è frutto della fantasia dello scrivente, e nemmeno dell’intervistata, ma si basa su fatti realmente vissuti in piena lucidità e nelle piene facoltà mentali. Altre storie non meno inquietanti saranno a breve pubblicate: altre case maledette o misteriose della nostra città vi aspettano!
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