Non sempre passione ed amore per il proprio lavoro ripagano dell’entusiasmo e della dedizione che vi si profonde. La dura crisi che attanaglia i mercati e la società miete vittime in tutti i settori, penalizzando in modo particolare anche il commercio, le piccole attività, i negozi al dettaglio. Flavio Polencich aveva una “bottega” fornita di ogni ben di Dio per i nostri amici a quattro zampe. Ha dovuto chiudere. E’ senza lavoro. Vi si trovava di tutto non solo per cani, gatti, uccellini, pesci e piccoli roditori ma anche per cavalli. Alimenti biologici, non modificati ed altamente qualificati, non testati su di animali, ben diversi da quelli della grande distribuzione. Eppoi lettiere, accessori, tutto ciò di cui nostri amati amici potessero avere bisogno. Il costo, pur nello specifico pregio dei prodotti offerti, era contenuto, concorrenziale. Servizio a domicilio gratuito, quando richiesto. Tutto ciò non e’ stato sufficiente per poter proseguire l’attività. L’apertura, poco presso, di un negozio a catena, le tasse, l’affitto hanno portato tristemente ad una saracinesca chiusa. Ora quel locale, rimasto vuoto per mesi, e’ diventato un “Sexy shop automatico”. Ben conoscendo la profonda sensibilità e la competenza professionale di Polencich, ho voluto ascoltare dalla sua voce il drammatico disagio in cui vive, come affronta la disoccupazione un uomo che ha sempre lavorato e quali sono le possibili prospettive che lo attendono. Una storia, la sua, in cui tristemente si trovano oggi centinaia e centinaia di lavoratori che, forse, dalle sue parole potranno trarre energia, determinazione e coraggio per cercare di affrontare una difficilissima risalita, per non lasciare nulla di intentato.
Dieci anni fa avevi un lavoro dipendente, in seguito hai deciso di metterti in proprio. Un negozio dedicato al cibo ed alla cura degli animali. Come è nata questa decisione?
In parte grazie ad un amico, già operante nel settore, in parte per seguire il mio naturale amore per loro, un’affezione che ha sempre fatto parte della mia vita.
Un’attività che è andata bene fino a pochi anni fa, ricordo l’ampia scelta di prodotti, l’affollamento dei clienti… poi c’è stato un brusco arresto, che cosa è accaduto?
C’è stata l’apertura di una grande negozio in franchising, una grossa catena che ha parecchi punti vendita in città e che ha influito moltissimo sul mio lavoro. E’ rimasto aperto solo un paio d’anni ma sufficienti per mettere in crisi il sistema…
A livello clientela o a livello tasse?
A livello tasse perché dalla agenzia delle entrate non veniva concepito che, improvvisamente, io potessi guadagnare di meno e, di conseguenza, pur avendo molti meno introiti, ho dovuto pagare le tasse come se, a livello vendite, nulla fosse cambiato. Gli studi di settore sono stati inesorabili e la logica delle spiegazioni non è valsa a nulla.
Nemmeno a fronte di un fatturato certificato?
Non serve, bisognava comunque pagare, con una riduzione irrisoria rispetto alle entrate reali.
E la clientela?
Nei due anni di “concorrenza” chiaramente c’è stato un calo perché la grande distribuzione può permettersi dei costi inferiori rispetto al negozio al dettaglio.
Tu però trattavi soprattutto alimenti biologici, non modificati ed altamente qualificati, non testati su di animali, la concorrenza era relativa?
Cominciava a farsi sentire la crisi e la gente optava per il prezzo comunque più basso anche a scapito della qualità.
Questo è un settore che non dovrebbe essere in crisi poiché ci sono moltissime persone che amano gli animali e ne possiedono diversi.
Il problema si chiama GDG, grande distribuzione globale, la massa della gente trova nei supermercati e nei grandi punti vendita a catena ogni genere di merce ed è chiaro che il rapporto costo-prodotto è inferiore a quello di un negozio che non può permettersi grandi ordini.
Pur parlando di una qualità superiore, i prezzi erano altamente competitivi…
Non è più una motivazione sufficiente. Le piccole botteghe, come la mia, a poco a poco stanno chiudendo.
La crisi non influisce dunque tanto sulla tipologia delle cose vendute, in quanto è un genere che ha una clientela vastissima, quanto sulla negatività che porta la catena della grande distribuzione?
Certo, perché i grandissimi quantitativi forniti dalle case madri hanno una gestione diversa che il piccolo commerciante non può permettersi. Le uniche “armi” che avevo a disposizione erano la gentilezza, i servizi, la capacità di spiegare il prodotto.
Tu avevi un’unicità, poiché vendevi anche cibo ed accessori per cavalli…
Sì, erano prodotti tedeschi di qualità, a buoni prezzi. Purtroppo però è stato un settore che non ho sviluppato e la ditta con cui trattavo ha deciso di punto in bianco di chiudere le esportazioni in Italia.
A Trieste e dintorni vi sono molto maneggi e così pure in Slovenia…
Hanno un loro specifico giro di fornitori in cui è pressoché impossibile entrare. Il cliente del maneggio si ritrova, in pratica, ad appoggiarsi ai servizi ed alle offerte che gli vengono proposte.
La tua affezionata clientela non è stata quindi sufficiente a permetterti di superare il periodo di impasse?
No, perché oltre al devastante rapporto con l’agenzia delle entrate mi era stato aumentato anche l’affitto del locale.
Da qui la chiusura del negozio, poi hai riaperto al mercato coperto dove, se ho capito bene, l’affitto era del tutto abbordabile…
L’idea poteva sembrare ottima, il fatto è che il mercato coperto non è mai stato ristrutturato e valorizzato. I banchi di frutta e verdura e generi alimentari, chiudono alle 13 dopodichè vi è il deserto! Il secondo piano, quello delle botteghe di abbigliamento e di generi vari, non viene praticamente visitato. Ha avuto un boom diversi anni fa, anche grazie agli acquirenti d’oltre confine, e vi erano ogni genere di negozi, dalle macellerie alle pescherie, agli alimentari, all’abbigliamento, ecc. Venendo poi a mancare questo tipo di clientela si è creato un arresto nelle vendite.
Cos’è che manca per far funzionare anche il secondo piano, l’organizzazione, la visibilità?
Manca un potere decisionale che decida di far vivere un vero centro commerciale nel cuore della città. Esibizioni ed eventi sportivi per i ragazzini, un bar all’aperto sulla bellissima terrazza sul tetto, tanto per suggerire delle idee. Si potrebbe valorizzare in molti modi se ve ne fosse la volontà. Lo spazio a disposizione è enorme.
Quindi un po’ per la crisi un po’ per la mala gestione del mercato e per la conseguente mancanza di utenza, sei stato costretto a chiudere nuovamente. Sei rimasto disoccupato, come affronti la situazione?
Cerco un lavoro dipendente, proponendo curricula ed esperienza anche a stretto contatto con l’ufficio del lavoro, mi rivolgo ad assistenti sociali di comune e provincia per avere degli aiuti, ma è difficilissimo. Lo stesso ufficio del lavoro non riesce a proporre delle opportunità salvo quelle di rivolgersi alle agenzie interinali che, comunque, possono offrire un lavoro per tre mesi e poi si è punto e a capo.
Hai fatto questo giro di agenzie, il risultato?
Zero!
A livello di assistenza istituzioni?
Facendo capo alle assistenti sociali, portando tutta la documentazione richiesta, fra cui l’ISEE, ed aspettando che valutino la pratica per vedere se darti o meno un piccolo sostegno. Ho fatto anche questo.
Il risultato?
Al momento non mi hanno dato nulla, sono in attesa perché attualmente il Comune non ha soldi. Forse, tramite la regione, potrebbero attingere al fondo di solidarietà e farmi avere un qualcosa.
I lavori socialmente utili?
Passano anch’essi attraverso l’ufficio del lavoro.
Per quanto attiene al privato?
Sto cercando anche in questo settore, soprattutto nelle vigilanze private potrebbe esserci qualche speranza! Bisogna pagare le bollette, mangiare, i risparmi, già pochi, pressoché consumati. All’estero potrebbero esserci maggiori possibilità. L’importante è non lasciarsi abbattere dallo scoramento. Ci vuole coraggio.
Affermava Thomas Carlyle: “Un uomo che vuole lavorare e non trova lavoro è forse lo spettacolo più triste che l’ineguaglianza della fortuna possa offrire sulla terra”.
MARIA LUISA RUNTI © Riproduzione vietata