Matteo Armellini era un giovane operaio di Roma, uno dei tanti giovani che lavorano per predisporre i palchi per le stars, per i cantanti e gli showmendi grido, osannati e illuminati dai riflettori della pubblicità televisiva, dei potenti media, altari del profitto camuffato da spettacolo. Richiamo per fare, in fondo, soldi e poi ancora tanti soldi versati da innumerevoli e ignari fans, giovani e giovanissimi, attratti dai richiami di tutto un mondo spettacolare e multicolore. E come tanti altri operatori manuali del settore, Matteo era capitato, attraverso la solita cooperativa, in un giro di appalti e subappalti, e lavorava come sapeva, con le sole mani e le braccia, per un pugno di euro, anche a prezzo della salute, precario, come vuole, ormai, questo sistema liberista post-capitalistico, inquadrato quale freelance,masi comportava come un operaio normale, con turni di lavoro massacranti di 16 ore (”Il Messaggero” del 24 luglio). Ma che importa… serviva per preparare lo show biz live, anche se Matteo rischiava la vita, in quel lavoro frenetico, anche se spesso l’incidente era in agguato, e lui lavorava per preparare quella piattaforma-palcoscenico, velocemente, forse anche in carenza delle opportune norme di sicurezza. In un contesto di vero sfruttamento, dove il committente scarica ad altri outsourcer alcune funzioni per realizzare poi tutta l’opera finale.MaMatteo, 32 anni, durante il duro percorso, è rimasto schiacciato dal palco in costruzione, con la sua fragile vita spezzata per sempre. Come, del resto, è successo anche a Trieste, nel dicembre del 2011, al Palasport, che ospitava l’impalcatura elefantiaca accartocciatasi su Francesco Pinna, vittima a soli 20 anni. Quella struttura era destinata ad un’altra star dello show-business, un altro noto cantante in voga. Storie che ricordano il film del 1953 del regista Clouzot “Vite vendute”, e in realtà Matteo aveva venduto per una manciata di euro la sua giovane vita, la sua sicurezza, il suo avvenire per tirare avanti, per avere un lavoro e forse anche per dare un aiuto alla famiglia. Quella vita, ci dicono ora, costava pochissimo, quasi nulla, visto che il risarcimento per quella tragedia, a favore dei due genitori, viene valutata dall’Inail poco più di 1936 euro. Anzi, no - si corregge il Direttore dell’Inail Lucibello: «si tratta di un anticipo dell’ assegno funerario»! Il risarcimento, comunque, non sarà dimolto superiore. (Il Corriere della Sera del 22 luglio). Ma che volevano di più i genitori di Matteo? Come fossimo ai tempi di Charles Dickens, l’Inail risponde che per un operaio, per un manovale, dalla bassa retribuzione quale era quella di Matteo, non potevano certo esigere di più (”Il Messaggero” dd.24 luglio). In un Paese dove una ministro-avvocato guadagna sette milioni di euro all’anno, o un dirigente di azienda guadagna - mi risulta - 400 volte la paga di un dipendente, nelle disparità e diseguaglianze sociali vistosamente inique, cosa si voleva di più? Le Cooperative non assumono, lavorano a partita Iva. Matteo era, dunque, inquadrato nella categoria dei freelance, anche se lavorava come un operaio normale. Ma l’Inail ha sentenziato, la società è fatta così, anzi, le morti sui luoghi di lavoro, in genere, sono in netta flessione (poco meno di mille nell ‘anno 2011, e gli incidenti 725.000, unavera conquista! n.d.r.) La cantante di turno, la star Laura Pausini, per la quale il palco era destinato non ha commentato… Quella sera ha cantato, ha ben guadagnato e per lei, per la sua casa discografica tutto è andato per il meglio. Il commento più appropriato lo ha formulato, peraltro, la madre di Matteo: «Bisogna rivedere il modo con cui viene gestito il lavoro dei ragazzi che collaborano all’allestimento dei palchi, essinonhannoalcuna copertura assicurativa. Ai miei tempi un sindacato non avrebbe mai permesso una cosa del genere…» (Corriere della sera citato). Già,madove sonoi sindacati, oggi?
(Claudio Cossu - da Il Piccolo)