Sulle alture di Trieste, verso Sud-Est è sorto nel 1954 un grande opificio: vi si frantuma la pietra che, polverizzata, con una potente teleferica viene poi trasferita direttamente alla zona del Porto industriale (cementificio Italcementi). Dopo 500 metri la strada gira sopra San Giuseppe della Chiusa, villaggio pittoresco sormontato dalla chiesa con due torri campanarie.
SAN GIUSEPPE DELLA CHIUSA, m. 164, circa 600 abitanti, figura nei vecchi documenti col nome di Rizmagna e Rusmagna. Il nome locale sloveno è Rizmanje. Era anticamente una villa importante per il numero e l’agiatezza degli abitanti. La chiesa, del 1645, era dedicata originariamente a San Giorgio, ma in seguito ad alcuni avvenimenti del 1750, ritenuti miracolosi, aventi per oggetto una lampada di San Giuseppe, venne ampliata e dedicata a San Giuseppe. La storia di questa chiesa è rispecchiata in pergamene del 1645, del 1703 e del 1750 che ricordano la consacrazione degli altari e della chiesa. Nella chiesa è conservata una reliquia della Santa Croce. L’altare di San Giorgio ha quale mensa una lapide scoperta nel 1752 nei dintorni, dedicata alla famiglia romana Caesia. L’altare maggiore in stile barocco è un pregevole lavoro di fino marmo di Carrara. Nella chiesa era custodito il più antico messale vetero-slavo, che attualmente trovasi in un museo di Belgrado. Nella chiesa c’è un organo del 1750, con 200 canne, del quale ha cura un organista stabile. C’è anche un coro misto. Il doppio campanile è stato costruito nel 1750 ed è alto 20 metri. Le campane sono tre: una del 1880, le altre di epoca più recente. Le rispettive tonalità sono: do diesis - fa - sol diesis. Dalla chiesa di San Giuseppe dipende quella di Sant’Orsola, nella frazione di Log, m. 80, sita a poca distanza. La località ha avuto varie vicende storiche. La villa apparteneva dapprima ai vescovi di Trieste. Nel 1392 fu dei Bonomo. Nel XVIII e XIX secolo si è ivi formata la confraternita di San Giuseppe, alla quale erano affiliate più di mille persone, appartenenti a famiglie nobili di vari paesi di Europa, ed a famiglie :patrizie triestine. In epoche più recenti si accese a San Giuseppe una lotta nel campo religioso per l’uso della liturgia glagolitica. La lotta ebbe momenti drammatici quando, dopo la scomunica degli abitanti, parte di questi passò alla religione ortodossa. La strada dopo avere girato attorno al villaggio di San Giuseppe, supera con un ardito cavalcavia l’ex ferrovia Trieste - S. Elia - Pola, e dopo breve percorso passa sotto la stazione ferroviaria di Sant’Antonio - Moccò, m. 218.
Il villaggio di SANT’ANTONIO (già Sant’Antonio in Selva, ora Sant’Antonio in Bosco) è denominato localmente Borst (probabilmente corruzione dal tedesco Forst, selva). E’ situato a 200 metri s. m. in posizione pittoresca; ha circa 600 abitanti ed è diviso in tre frazioni, delle quali la prima si raggruppa intorno alla chiesa; la seconda, quella di Moccò (sloveno Zabrezec), riempie la conca fra il monte San Michele (San Daniele nelle carte topografiche dell’Ist. Geogr. Mil. di Firenze) e la collina di Moccò; la terza, quella di Chervati, si estende sopra l’ex tracciato della ferrovia e di fronte ai ruderi dei castelli di Moccò. La chiesa, costruita su un piazzale sporgente, è di epoca relativamente recente (1845-1848). Precedentemente la chiesa parrocchiale — del 1636 — sorgeva nella frazione di Zabrezec, presso l’attuale cimitero. La chiesa attuale è dedicata a Sant’Antonio abate. L’archivio del 1790 si trova nella chiesa; quello anteriore (del 1500) è stato portato a San Dorligo. Nell’interno della chiesa poco si trova di notevole: pale di altare illustranti San Nicola e San Valentino; un altare della Madonna di Lourdes, con stalattiti e stalagmiti (non in armonia con la chiesa); il piccolo portone, trasportato dalla vecchia chiesa, sulle cui colonne si legge: «Saha, Petaros, fecerunt. anno 1673». L’organo, ormai vecchissimo, è stato acquistato dai paesani or sono cent’anni a Vipacco, e può presentare interesse solo per la sua costruzione. Tre organisti del paese lo suonano a turno, e un coro canta. Il campanile alto 22 metri, è stato costruito contemporaneamente alla chiesa. Le campane sono state rifuse a Udine nel 1953, con tonalità: do diesis - fa - sol diesìs. Da questa chiesa dipende quella di San Lorenzo (Jezero).
I segnavie portano sulla nuova strada costruita all’esterno del villaggio, fino ad un bivio, dopo la frazione di Moccò, a nord del monte San Michele. Sulla vetta del monte San Michele sorgeva in tempi remoti un Castelliere, con triplice cinta, e in epoche recenti una cappella, ora distrutta. Dal bivio un viottolo sale tra muri e siepi alla sella a nord del monte San Michele, sella che si raggiunge in qualche minuto; dalla sella il viottolo scende ripido e sassoso verso la VAL ROSANDRA. Questa, vista dal viottolo, si presenta in tutta la sua eccezionale asprezza. Nel centro della valle a destra della gola percorsa dalla Rosandra spicca il «Crinale» sul cui vertice è eretto il cippo in memoria di Emilio Comici, il. grande alpinista triestino; a destra si alza a scaglioni il massiccio monte Carso (m. 456), sulla cui vetta passa la frontiera attuale. A sinistra, in alto, si vede il tracciato dell’ex ferrovia Trieste - Erpelle, sviluppato su rocce espostissime, oggi convertito in pista ciclopedonale. Proseguendo nella discesa, si scorge ad un tratto, sottostante quasi verticalmente, l’ultimo abitato di BAGNOLI, la frazione di KONEC (significa termine), e a poca distanza il RIFUGIO MARIO PREMUDA. Si scende fino al torrente, che si passa su un ponte, raggiungendo subito il Rifugio.
Da Sant’Antonio ai Castelli di Moccò Il punto panoramico migliore per abbracciare con un solo sguardo l’intera Valle Rosandra è la ALTURA DI MOCCO’, m. 241, la quale dista circa 15 minuti dalla chiesa di Sant’Antonio, ed ha un passato storico notevole. Sulla detta altura è stata costruita a cura del Comune di San Dorligo, la bella VEDETTA DI MOCCO’. Si vede dalla Vedetta di Moccò, che tre strade parallele, svolgentisi a tre livelli diversi, servono il villaggio: il tronco nuovo, costruito fra il 1935-1936, il quale si mantiene fuori del paese, e a sud rispettivamente sud-ovest dell’abitato; la strada vecchia, che dalla Chiusa passando per la piazza della chiesa e per la frazione di Moccò (Zabrezec) conduce a Bagnoli; e la strada antica, che dal centro del villaggio sale al castello di Moccò. Il nome di Sant’Antonio in Selva o in Bosco, e anche il nome locale, Borst, affine al vecchio nome tedesco Forst (selva) ricordano i boschi che una volta coprivano tutta questa zona, boschi dei quali oggi è scomparsa ogni traccia. Restano solamente le pinete create in parte dai tecnici della ferrovia Trieste - S. Elia - Pola, per rassodare i pendii in prossimità della linea, in parte dagli Enti che curarono i rimboschimenti dal 1860 in poi. I segnavie, partendo dalla chiesa, conducono per la strada antica (la più alta) in terreno carsico, dapprima in direzione est, e poi in direzione sud, raggiungendo rapidamente uno spiazzo dove circa 25 metri sotto l’altura di Moccò sorgeva il Castello «nuovo» di Moccò.
L’ANTICO CASTELLO DI MOCCO’ sorgeva invece sulla vetta dell’altura, e dominava perciò l’intera Val Rosandra e particolarmente la parte inferiore della valle fino al mare (valle di Zaule). Il Castello antico era stato costruito ancora prima del 1100. Una raffigurazione ideale del Castello, eseguita nell’ 800 con la scorta delle notizie tramandate da padre a figlio, lo presenta in aspetto torvo e minaccioso, a cavaliere di un picco dietro al quale si profilano distintamente il monte Carso, il Crinale, la gola della Rosandra, col Santuario di Santa Maria in Siaris. Nella suddetta raffigurazione il Castello stesso dà una impressione di rude forza. Una larga ed alta costruzione quadrata, senza finestre, con una gran porta protetta da un ponte levatoio, costituisce la solida base del Maschio. Sul terrazzo di quella costruzione, circondato da un ballatoio merlato, si alza la seconda mole, di identica fattura, ma di minore proporzione, pur essa guarnita di spalti merlati; e su quella mole si erge la torre, alta e massiccia, coronata da sporti merlati, sotto ai quali si apre una serie di caditoie. Secondo la leggenda, il Castello antico fu abitato dapprima da profughi di Aquileia distrutta, sembra da una famiglia Barbassi o Barbarigo o Bardìco. A quella succedettero quali signori feudali i Barbamoccolo che si estinsero con Francesco nel 1277. Ma pare che la proprietà del Castello spettasse al Vescovo di Trieste, il quale lo cedette in uso al Comune di Trieste nel 1295. La posizione del Castello antico, che permetteva di dominare l’intera zona circostante, lo fece considerare un caposaldo importantissimo. Nelle lunghe lotte fra Venezia e Trieste, per il predominio nei traffici, il Castello passò più volte ora all’uno ora all’altro dei partiti avversari. Nel 1511 venne preso dai triestini guidati dal vescovo Pietro Bonomo, ma poco dopo venne distrutto dagli stessi triestini, perchè non ricadesse in mano dei veneziani. I materiali del Castello distrutto vennero impiegati nella costruzione del CASTELLO «NUOVO» che sorse nel XVII secolo e si identifica con la costruzione quadrata esistente in loco fino alla seconda guerra mondiale. Il Castello «nuove)» portò per un certo tempo anche il nome di Fiinfenberg (Vicumbergo). Ciò avvenne perchè quando venne distrutto il Castello di Fiinfenberg presso Draga e sopra Botazzo, armi e carte furono trasportate nel Castello «nuovo». Sul Castello «nuovo» venne murata una lapide proveniente dal Castello di San Servolo, il testo però non si riferisce a Moccò. Vi compare tuttavia il nome di Barbadico. Per lungo tempo davanti al Castello «nuovo» stazionarono due cannoni, poi trasferiti al Museo di antichità a Trieste, dove sono ora custoditi. Oggi del Castello antico non rimangono che pochi ruderi. Ivi sorge la nuova VEDETTA DI MOCCO’. La vista dalla Vedetta è magnifica. Da sinistra (est): il monte Stena, m. 443 (sloveno: «parete dirupata»), sui cui fianchi si svolgeva la ferrovia Trieste - Sant’Elia - Pola passando accanto alla celebre Grotta delle Gallerie, nel fondo i pendii del Taiano; la vallata superiore della Rosandra; il «Crinale», sormontato dal cippo a Emilio Cornici; sul pendio a sinistra del crinale, la chiesa alpestre di Santa Maria in Siaris; a destra del «Crinale», la valletta per la quale si scende dal cippo Comici (itin. 25) al Rifugio Mario Premuda; il monte Carso, da secoli disboscato, sassoso e detritico; sotto, accanto al torrente Rosandra, il Rifugio Mario Premuda della Società Alpina delle Giulie e la frazione Konec («termine») di Bagnoli; Bagnoli; il monte San Michele col Castelliere; il corso inferiore della Rosandra; il mare. Il Castello «nuovo» di Moccò, adibito dalla fine del secolo XIX ad albergo e trattoria, poi proprietà privata, ha sofferto gravissimi danni nell’ultima fase della seconda guerra mondiale. Dopo la guerra è stato devastato da un incendio. Ora è completamente demolito, in modo che si possono vedere soltanto tracce delle fondamenta. Questa zona è indubbiamente una delle più importanti del Carso triestino. Attorno al Castello antico si sono disputate lotte senza quartiere per il possesso della ubertosa piana della Rosandra, e per il dominio delle vie d’accesso a Trieste.