di Katya Malagnini
https://www.facebook.com/katya.malagnini
Max Zuleger è tra i nomi più longevi della consolle del Friuli Venezia Giulia. Nasce come accanito collezionista di dischi, e successivamente, dopo un avvicinamento agli studi di registrazione, si afferma come d.j. fino a suonare in molte discoteche importanti come il “Mirò”, “La Grotta” e il “City Hall”, fino agli eventi più grossi e di rilievo come il “Valkana Beach Festival Mtv” in Croazia. Ha realizzato programmi esclusivi per le più importanti Emittenti Radio della regione, ed è stato protagonista di numerosi eventi e serate dedicate all’house music (genere musicale che in assoluto predilige) in tutto il territorio austriaco, specialmente a Vienna.
Ha prodotto diversi dischi di vario genere, pubblicati in Italia e all’estero, che hanno ottenuto risultati importanti essendo entrati nelle classifiche di Radio Nazionali e in alcune compilation. Max è iperattivo, e soprattutto, è uno che ride spesso:
“…Come in quelle situazioni surreali, quando capita che sei distratto, perché è una seratona e tu sei talmente preso dalla situazione che intanto il disco finisce e quando te ne accorgi, mancano dieci secondi. Vai nel panico, perché devi ancora cercare cosa mettere e se hai i Pioneer 400 ti salvi: metti in loop il tizio che canta, quattro quarti e la pista che continua a ballare sul loop :D mentre tu cerchi il disco. C’é sempre qualcuno acuto che ogni tanto chiede: ma si è incantato? Eh sì …guarda, adesso lo cambio!! Da morir dal ridere :D“
Insegna teoria e pratica del djing al suo Corso “Diventare Dj” che tiene presso il Centro Commerciale Città Fiera di Martignacco (Ud), ha avuto un negozio di dischi, e diverso tempo addietro, ha anche cantato in un disco degli anni ‘90 ma su questo, vuole lasciare un velatissimo alone di mistero :D
Ha creato, ideato e costruito, assieme al collega Alex B, l’ evento “90 is Magic” il primo in assoluto della zona dedicato agli anni novanta, con gli ospiti dal vivo e migliaia di persone come pubblico. Essendo un’amante sfegatata degli anni ‘90, e avendo vissuto con intense emozioni questo evento, è proprio da lì che sono voluta partire…
Sei stato il primo a “inventarti” un colossale evento anni ‘90 con gli ospiti. Questo accadeva dieci anni fa esatti, quando ci fu la prima “90 Is Magic”, una grande festa, che per molti anni ha lasciato un bellissimo ricordo nel cuore della gente… e tu, da protagonista, che ricordi hai?
Ricordi fantastici, per dire la verità mi manca tantissimo, perché è stato, nella mia vita da d.j. il più grande evento che ho fatto, dove soprattutto, era presente il lato emotivo estremo per un d.j: un’eccezionale risposta del pubblico a un’idea che tu hai portato avanti e realizzato, il raggiungimento del massimo livello di gratificazione. Un conto, è suonare a un mega evento dove sei solo ospite (a me è capitato al “Valkana Beach” un festival immenso in Croazia), un altro, è avere delle sensazioni del genere da un evento tuo, creato da te. Da ospite sei all’interno di un’idea che non è tua, è tutta un’altra cosa. Nel caso di “90 is magic” sei protagonista e pensi: “Guarda quanta gente si diverte con una mia proposta”. Rifarla? Potrebbe avere successo perché è stato il primo e il migliore evento anni novanta fatto qui in Friuli, ma bisognerebbe trovare la location perfetta, come fu lo “Scarpandibus”, chiamando non tre ma dieci ospiti tra i migliori che ci siano, e spingendo moltissimo l’evento per quattro mesi, ma è troppo rischioso. La location è fondamentale, lo abbiamo passato noi sulla nostra pelle. Quando ci siamo spostati al Palazzetto dello Sport a Cividale perché ci hanno chiuso lo “Scarpantibus”, la gente non ha pensato “Poveri Max e Alex”, ha pensato “vaffanculo, ci hanno rovinato la festa”. La location è quasi tutto: se io e te adesso riaprissimo il “Mirò” per un evento, faremmo minimo 5000 persone, solo di curiosi.
http://www.90ismagic.it
Capita spesso di vedere feste “anni 90” chiamate “90 is Magic” come il tuo evento. Possibile che non ci sia fantasia nel denominare un evento e bisogni per forza copiare?
Guarda, quando vedo queste cose, m’innervosisco. Preferisco non saperlo, anche perché il marchio è registrato, ma in realtà non hai nessun tipo di tutela. Spendi un sacco di soldi per quella R famigerata e poi…ad alcuni intimorisce, ad altri no. Dipende da come uno reagisce, perché se uno è un delinquente senza scrupoli, se ne frega se lo minacci di chiamare la polizia. Alcuni ti ridono in faccia se gli dici che gli mandi l’avvocato. Senza contare che poi, ti tocca fare la causa, spendere un sacco di soldi, e finora io ho ottenuto zero come risarcimento dei danni. Non è di certo la prima volta che il marchio viene “copiato” (perlomeno nel nome). All’ estero è tutto diverso. Comunque se copiano, vuol dire anche che qualcosa di grande è stato fatto!
Le feste anni ‘90 in Friuli sono un tasto dolente: funzionano in ogni parte d’Italia, meno che qui. Perché?
Io credo che qui ci sia stata un’inflazione notevole delle feste anni ‘90 (in rapporto al piccolo territorio del Friuli Venezia Giulia). Un piccolo bacino d’utenza con veramente troppi eventi, addirittura due nello stesso giorno. Soprattutto, parliamo di eventi il più delle volte fatti male. Fornire un prodotto malfatto danneggia inevitabilmente tutti! Ho visto ragazzini di vent’anni dire: “Io sono specializzato negli anni novanta” ma per fare gli anni novanta devi averli vissuti, come me, come te. Se il d.j. ha vent’anni, dice di essere specializzato nei 90’s e gli anni novanta sono esistiti venti anni fa, qualcosa non torna, è sotto gli occhi di tutti questo. Poi se a uno piacciono ed è capace, ha migliori possibilità di farcela, ma resto dell’idea che per suonare gli anni novanta (come gli ‘80) devi averli vissuti.
Io con gli anni ‘80 infatti faccio fatica…
No, non dal punto di vista tecnico! Per te con gli anni ‘90 non è così. Sai già creare, ti viene quella sensazione sulla pelle di cosa devi fare, ti cresce dentro quell’atmosfera che riesci a capire quale disco, devi mettere in quell’esatto momento, perché sai già la reazione della gente e poi, quando lo metti ne hai la conferma. Una sensibilità che noi abbiamo, la conosciamo, ma che è difficile da spiegare. Questo serve. Un ragazzino che ne sa di queste cose? Può anche scegliere due dischi belli, ma mettiamo che scelga “El Gallinero” di Ramirez e “All that she wants” delle Ace of Base. Sono belli entrambi, ma esce un disastro traumatico. La cosa più grave, è che la gente comune non se ne accorge. Solo un d.j. che ascolta con sensibilità capisce, e vabbé che con le nuove tecnologie e con il master tempo oggi fai miracoli, ma allora lì parliamo di altre cose. C’é da dire poi, che un evento anni ‘90, per funzionare, ha bisogno di un investimento importante! Se io avessi fatto “90 is magic” senza ospiti non avrebbe mai funzionato: è stato un successo per un insieme di alchimie, dagli ospiti alle coreografie, passando per le discoteche che hanno ospitato l’evento e soprattutto, due dj’s che eravamo io e Alex, che avevamo realmente vissuto gli anni novanta e sapevamo cosa stavamo facendo.
Perché lavorano un sacco di improvvisati mentre molti professionisti sono a casa?
Il gestore (spesso incompetente) vuole riempire il cassetto e pertanto risparmiare dove può, quindi pensa: “Guarda te, questo mi costa molto meno, promette di portarmi gente, scelgo lui”. Poi vede che il locale in realtà non glielo riempie, e ne prende un altro alle stesse condizioni. La situazione è decaduta, drammatica.
Come hai iniziato a fare il dj?
Nel 1979 a Radio Friuli in Viale Volontari della Libertà a Udine. Nasco come collezionista, un amante della musica, mi piaceva comprare i dischi (talvolta visto che non c’erano soldi li scambiavo con gli amici). Compravo i dischi tenendomi i soldi delle merende che mi davano i miei genitori. Facevo la fame ma a fine settimana, il disco lo avevo! Questo, lo dico sempre ai miei ragazzi quando faccio i corsi: “Fate delle rinunce”. Da lì vedi quanto uno ha la passione e fino a dove questa lo porta. In radio vedevo tutta questa strumentazione mentre io avevo un giradischi solo, c’era una consolle con i Thorens, fantastici, a cinghia, che avevano una leva che dovevi usare per spostarti dai 33, ai 45 o 78 giri. I Technics SL 1200 (chiari) li scoprii a casa del mio amico Daniel. Mi facevo le cassette, poi frequentavo diversi studi per tentare di realizzare produzioni discografiche. Nel ‘90, avevo anche aperto il mio negozio di dischi, il d.j. Service “Funkytown”, dove avevo finalmente la mia consolle con i giradischi SL 1210 e il mixer Vestax. A quei tempi, collaboravo per la realizzazione di “Future Traxx” la classifica delle anteprime Underground per Radio Italia Network, quindi, praticamente in coincidenza con l’apertura del negozio di dischi ho incominciato a fare il d.j. a livello professionale, a partire da locali come l’ “Ok Club” di Aviano (Pn), “La Botte” di Pradamano (Ud), “Il Sigillo Imperiale” di S.Vito al Tagliamento (Pn), l’ “Euforia” di Duino (Ts).
Tra dj’s si dice che la gente si lamenti sempre e comunque della musica. Che cosa vuole in realtà?
Questo perché succede? Te lo spiego io. Negli anni ‘80, il d.j. suonava in una vetrina, come in radio, e l’accesso in consolle era vietato a chiunque. Il disco di Francesco Salvi (* “c’é da spostare una macchina”) nacque proprio per questo, perché quella frase, era l’unica che poteva essere detta al d.j. mentre stava lavorando. Nessuno si permetteva di andare in consolle. Ho ancora le cassettine di quell’epoca, dove l’unica cosa che viene detta al microfono è: “C’é da spostare una Fiat Uno targata Ts 214705” (vediamo se becchiamo il proprietario di questa macchina :D). Niente vocalist, nessuna storia. La gente all’epoca aveva una tal educazione che se il disco non gli piaceva, taceva e andava al bar a bere, non rompeva al d.j. con richieste continue, che poi… come le fanno oggi giorno, che ti sbattono il telefonino in faccia, con scritte bianco su sfondo blu che pare lo facciano apposta che io manco ci vedo bene da vicino :D. Dai, no!!! Ormai le richieste sono talmente frequenti che il d.j. si trova a fare il juke-box del pubblico, è cambiato tutto. Vedi, è il concetto che non funziona. Uno perché va in discoteca? Per ascoltare e ballare il prodotto che quel d.j. offre. Punto. Se vado in una discoteca e la musica non mi piace, al massimo non ci torno più. È come se adesso andassimo al cinema e ognuno potesse esprimere liberamente il proprio parere! Inizieremmo a sentire la gente che dice: che palle, cambia film. Ma ti pare? Non esiste. Al cinema se non ti piace il film… che fai? Lo guardi tutto comunque, poi eventualmente lo commenti. Oggi c’é una generazione che non sa cosa cerca, ma la massa è sempre stata così. Negli anni settanta nascevano queste discoteche che abbiamo avuto la fortuna di vivere ed erano un fenomeno completamente innovativo, una proposta di qualcosa di nuovo. Quando è nato il telefonino, era anch’esso una cosa nuova, ma non è che la gente fosse lì a pensare “ouh, però potrebbero inventare un telefonino”. La massa è statica, ferma, che aspetta un prodotto condizionato, imposto. Se non ha proposta, la gente resta ferma, ed io credo che sia sempre stato così.
È vero che la musica di una volta era qualitativamente fatta meglio?
Assolutamente d’accordo. Non c’é dubbio che la musica degli anni ottanta e novanta sia qualitativamente migliore a quella che c’é in giro oggi, anche se negli ultimi due anni, sono usciti diversi prodotti fatti con più criterio e attenzione, come quelli di Avicii, Guetta, Ola sono fatti molto bene, raggiungono livelli pop. C’é una notevole differenza tra “Hey Brother” e “We dont speak Americano” che è un prodotto fatto da australiani, ma è qualcosa di osceno secondo me. Le case discografiche si sono accorte che bisogna innalzare il livello qualitativo, sia per quanto riguarda il mixaggio tecnico (il disco deve suonare e deve essere fatto in un signor studio). Sono in troppi a credere che con Ableton o Fruity Loop si riesca a fare qualcosa di buono, ma non è affatto così. Ci vuole ben altro. Lo studio di Andrea Buttignon e Andrea Colussi (in arte Drooid e Cisa), dove collaboro per alcuni progetti discografici, sta producendo per il mercato discografico negli USA, Germania e Sud America, con ottimi risultati su Universal. Una song è appena stata presa per il trailer di un film in uscita a Natale in Inghilterra e adesso, stanno creando una base che sarà presentata a Ne-yo, per un progetto che lui dovrebbe cantare con una nuova cantante. Adesso per me sono in uscita diverse produzioni sulle quali credo molto.
Che cosa ci vuole per fare una produzione di qualità?
Ci vuole uno studio discografico con determinate strumentazioni, importanti e costose. Sono indispensabili per fare una produzione di alto livello! Una dinamica potente, suoni scelti con criterio ed elaborati con determinate macchine, perché abbiamo appurato che in mezza Europa, i dischi che funzionano hanno le medesime sonorità, vengono mixati in analogico oppure in digitale, e non con il programmino scaricato gratis! Questo fa la differenza! Le macchine potenti di un Signor studio sono LA BASE. Poi arrivano le idee artistiche e le capacità, cioé conoscere almeno un po’ di musica, anche se non è necessario essere un musicista e aver fatto anni di Conservatorio. Ovvio che se c’é, è meglio. La voce in un pezzo poi, è importantissima, conta più del 50% e le parti suonate devono essere suonate da strumentisti. Bisogna investire e affidarsi a chi ha studi importanti, è inutile scrivere una potenziale hit e suonarla con la pianola della Bontempi. Non si può pretendere di rubare all’ italiana, con il concetto “scarico tutti i dischi e li suono gratis” questa è la mentalità italiana con cui noi non andremo più da nessuna parte. La qualità costa, siamo dimenticati da tutti, una volta eravamo i numeri uno, la musica italiana entrava in classifica Billboard in America e Inghilterra. Pensa che l’Italia nel mondo, a livello di vendite di dischi si trova dopo il Burkina Faso (in rapporto superficie territorio / popolazione). Ecco cosa succede rubando la musica.
Conta il supporto delle radio nella promozione di un disco?
Questo concetto è cambiato molto con internet, oggi un disco funziona se è accompagnato da un buon video, i giovani guardano Youtube. Ho voluto fare una sorta d’indagine personale, e quando vengono a chiedermi un disco, sono io che chiedo loro dove lo hanno sentito, e la maggior parte mi risponde “Youtube”. Fa la differenza.
Poi Facebook può far nascere diramazioni notevoli, può allargarsi all’infinito. Questo sempre se il prodotto è interessante, un’idea vincente. Infine, se sei un Guetta, o il nipote di qualcuno (…) il disco funziona per forza.
Tu insegni da anni nel tuo corso “Diventare Dj”: che sbocchi ha una persona che frequenta il tuo corso?
Insegno tutto, dalla pratica (dai giradischi alle consolle più tecnologiche di oggi) alla teoria, compresi tutti gli aspetti fiscali e lavorativi riguardanti Enpals, Siae, la compilazione dei borderò per diventare un DJ professionista ecc… A fine corso, organizzo una “Dj Convention” per fare in modo che i ragazzi più bravi e volenterosi, abbiano l’opportunità di mixare in una vera discoteca e di essere notati, anche da tv locali (Tpn, Gorizia Live Magazine, Telefriuli), con interviste ai protagonisti dj emergenti, ma anche attraverso la pubblicità (volantini, manifesti, ecc.). C’é molta partecipazione e di tutte le età! Ho avuto allievi dai dodici ai sessant’anni, maschi e femmine…la passione non ha età!
Come si fa oggi a far funzionare un locale?
Oggi si può giocare con qualsiasi mezzo, se sei furbo vinci.
Alcuni fattori sono determinanti: ci vogliono furbizia, fortuna e capacità. Questi secondo me sono gli ingredienti per far funzionare un locale. Ci sono dei gruppi di lavoro a Trieste, Udine, Gorizia e Pordenone, che ovunque vanno, riescono ad avere un seguito di gente tale da riempire il locale. Questo, perché possiedono queste tre caratteristiche e soprattutto, perché si muovono quando e come vogliono loro, cioé quando capiscono che c’é il potenziale ed è il caso di creare. Vengono imposte delle condizioni al titolare, anche economiche. Poi, se non vengono raggiunti gli accordi di rinnovo secondo altri parametri economicamente più cari, il team si sposta in un altro locale. e chi ci rimette è il proprietario. A questo punto. il titolare si trova in una condizione di ricatto, costretto ad accettare le nuove condizioni dei Direttori artistici, o gruppo di PR, altrimenti si ritrova con il locale vuoto.
La prima cosa è che il locale sia carino, dev’essere invitante, bello. nuovo o rinnovato con stile, comunque allettante. Altrimenti nessuno ci entra. Ci vuole molta più difficoltà a portare la gente in un vecchio bar, mentre in un posto nuovo sono tutti più stimolati. Il quarto fattore, è che il d.j. sia bravo. Se lui è anche bravo, è il top. Il passaparola è fondamentale, anche tramite Facebook.
Un’ultima domanda Max: chi è il tuo d.j. preferito?
… Mario! Il mio gatto :D Oramai, fa il d.j. anche lui.
MAX ZULEGER http://www.maxzuleger.com
PRODUZIONI DISCOGRAFICHE
ACTION “Chika” — Domino Rec.
VOLCANO “True or false” — Discomagic
L.E.M. “Apollo 11” — Wicked & Wilde Rec.
COSMIC EXPLORERS “Space Shuttle — Danceomatic
LOREEN Q. “I need you” — Muzic W. Control
KATANGA BEAT “Assahid” - DJ Movement
JOHNNY BUTCHER “Suspiria” — Landscape
THE HANGMAN “Halloween” - Landscape
A.I.T.A. PROJECT “Waterworld” E.P.—Red Alert
MAX ZULEGER feat. Sigrid – “Cafè”
DRUID Feat. VEZNA – Alone (Max Zuleger RMX) – Shah Music
MAX ZULEGER feat. SIGRID – “Disco Toxico” – Only The Best Records
ERIK VIOLI & MAX ZULEGER – Porquè - Only The Best Records
di Katya Malagnini
https://www.facebook.com/katya.malagnini
L’intervista inizia parlando dell’estinta Movida del Friuli Venezia Giulia, con l’inevitabile assidua ricerca delle cause di questo tangibile tracollo. Se ne parla, riflettendo sul come basti mettere piede nel confinante Veneto (dove già l’aperitivo commerciale è un’altra cosa) per rapportarsi con un’altra dimensione, o ancor meglio, con la vicina Slovenia, terra che Paolo Barbato conosce molto bene, in quanto d.j. resident per anni dello storico locale “Ambasada Gavioli” e guest nelle migliori discoteche.
[i]Paolo porta alto il nome dell’house music dal Friuli nel mondo.
In trent’anni di carriera, tra dj set e produzioni discografiche, ha guadagnato la stima di migliaia di persone che lo considerano tra i migliori esponenti del genere. L’ho incontrato nel suo studio, dove tra note musicali, emozioni e aneddoti, abbiamo ricordato momenti intensi e abbiamo parlato di quanto era vivo, vent’anni fa … quell’angolo tra via Garibaldi e v. Duca D’Aosta nella città di Monfalcone (Go).
Si presenta rilassato, sempre curato e sorridente alla vita e alla sua grande passione per i suoni raffinati, e mi racconta la sua storia con un entusiasmo che trasmette gioia infinita, mentre spilucca qualche mandarino dalla sua borsa. Parlandomi di un suo nuovo progetto che lo vedrà in veste di art director, mi dice che la sua idea per il risveglio della Movida perduta, è quella di puntare sulla politica che funzionava negli anni passati: mirare all’esclusiva.
Paolo è contrario ai dj’s che “suonano” ogni sera in un locale diverso della medesima città, perché un d.j. per un locale deve essere esclusivo, avere una coerenza. Così si crea la richiesta, è questa la politica con cui bisogna proporsi. Funziona, perché si costruisce qualcosa, i personaggi si legano al club e si crea una famiglia.
Paolo obietta anche il discorso dei dj’s svenduti e riadattati, quelli che mettono su qualsiasi disco pur di suonare con la scusa che “la gente vuole quello”. Non lo accetta: afferma che lui non si svende, e che in trent’anni di mixer, non si è mai sentito dire di cambiare musica mentre suonava:
“Nel 1985, quando suonavo alla Manna, il titolare mi disse: Fregatene di quello che ti dice la gente, ho scelto te perché fai questa musica”
Quando hai iniziato a fare il dj?
Come la maggior parte dei dj’s ho iniziato con i festini a casa, nel 1978. Poi sono diventato tecnico radiofonico prima a Sgonico e poi a Duino (Ts) per Radio Mare, che all’epoca era seguita in tutto il Friuli e nel 1982, ebbi il mio primo libretto Enpals come tecnico radiofonico. Di sera, quando la radio chiudeva, io restavo lì e facevo otto ore di mixati in videocassetta, con Roby Koala che dormiva nell’altra stanza :D. Successivamente, Radio Mare s’inventò la “Deejay Competition”, una gara che divenne molto presto importante, la prima nel Triveneto. S’iscrissero un sacco di dj’s, ma … io vinsi, forse anche grazie al fatto che fui l’unico a proporre lo scratch. Al secondo posto, si piazzò Fabrice (Fabrizio Lazzari, che con Andrea Gemolotto e Leo Mas, formò la mitica triade *nda). Seguirono interviste con Radio Capodistria e Rai 2… ma sfortuna volle, che subito dopo, io dovessi partire per il servizio militare. Nonostante questo, non mi scoraggiai. Questa vincita segnò il mio debutto ufficiale come d.j. nelle discoteche, e proprio assieme a Fabrice, iniziai a suonare a “Villa Sospisio” (Sagrado, Go) quando avevo due orette libere, perché poi dovevo tornare in caserma. Nel 1984, poi, iniziai a lavorare al “Valentinis” (storica discoteca di Monfalcone che nel ‘90 divenne “Hippodrome”). Finito il militare nell’ottantacinque, intrapresi questa strada a tempo pieno, e un gestore di un locale di Brescia che si trovava a Grado in vacanza (dove in quel periodo lavoravo assieme a un gruppo di p.r. e ballerini) ci volle tutti per i venerdì, i sabati sera, e le domeniche pomeriggio.
Ti va di ricordare un aneddoto divertente di quel periodo?
Quella volta che portai Fabio Volo nel bagagliaio..per esempio…. :D
Allora, al Miró, il locale dove io lavoravo a Brescia, c’era la prima di Pieraccioni (all’epoca lui faceva il comico in discoteca). Quando salì sul palco e iniziò a esibirsi, s’ingarbugliò notevolmente, con il risultato che la gente lo fischiò a malo modo. Corse “dietro le quinte”, dove Cecchetto gli disse: “Non scoraggiarti, vedrai che la prossima andrà meglio”. Il resto lo sappiamo :) In più, uno dei p.r. del locale era Fabio Volo, cui una volta demmo un passaggio in stazione nel baule di una Citroen Bx Station Wagon. Pensare oggi di aver portato Fabio Volo nel baule dell’auto mi sa d’incredibile.
Come mai hai scelto il genere house?
Non ho mai fatto questo lavoro per i soldi, se lo facessi per quello, lavorerei tutte le sere. Quasi mai, nella mia vita, è capitato che fossi io a chiamare un locale per chiedere di suonare, mi hanno sempre cercato. Questo non lo dico per tirarmela naturalmente, ma per far capire il concetto che io voglio andare in un posto dove sono contenti di avermi. Sanno tutti che faccio il d.j. quindi che senso ha chiamare qualcuno? Se mi avessero voluto, mi avrebbero chiamato loro, no? Io non sarei mai in grado di fare una serata commerciale, non la sento mia, e non intendo tecnicamente. Per me è già difficile creare un programma house fresco, giovane e aggiornato, con tutte le novità che escono ogni settimana. Allora: come si fa a suonare revival, ‘70, ‘80, ‘90, dance, ecc ?
Ti racconto una cosa: ho suonato dal 1995 al 2001 all’”Ambasada Gavioli” (storica location del ballo a Izola in Slovenia) e lì la pista era molto esigente! Non era possibile mettere una “roba qualsiasi”, era un target mirato, che sapeva ciò che voleva. Pensa che la proprietà dell’epoca registrava tutte le serate che venivano fatte e poi, in settimana venivano ascoltate durante le riunioni, con tanto di conseguente recensione della serata. Non avevo mai visto una cosa del genere. Lì dovevi essere preparato e dare il meglio di te: in apertura andare piano, più energico nella parte centrale, e lasciare il segno in chiusura, con cose ricercate, vecchie, che fanno sognare e perché no, anche piangere. Una scuola dura… ma che emozioni! Questo mi ha insegnato che va sempre fatta molta ricerca sonora! Tuttora, prima di un set, a casa ascolto tantissime tracce nuove, promo e dischi dalla mia collezione.
Ho passato anni davanti al muro di casa a provare i passaggi e tuttora lo faccio.
A proposito di guardare i muri :D quanta palestra di questo tipo occorre per essere un d.j. di qualità?
Mah… i software che sono utilizzati oggi giorno aiutano molto nella preparazione dei set, delle scalette. Io a casa provo ancora i set dopo trent’anni, mixo con i vinili, e ripasso anche i dischi vecchi. A me personalmente, l’uso dei computer in discoteca non piace. Posso capire chi utilizza Ableton nei live, che usa il computer perché indispensabile in questo caso, ma per un dj set, è inutile comprare un Mac per mixare due brani con Traktor, non ha senso. In una discoteca, come set up di consolle, io ci vedo giradischi e lettori cd, anche se oramai leggono ogni tipo di formato, intendo comunque una macchina che tu puoi toccare, dove c’é un’emulazione del vinile.
Cosa ti colpisce in una canzone tanto da spingerti ad acquistarla?
Fondamentale è il groove, quindi la ritmica e il basso.
Negli anni novanta, tu avevi lo storico negozio di dischi “Dance All Day” a Monfalcone (Go). Perché lo hai aperto e soprattutto, perché lo hai chiuso?
All’epoca c’erano pochissimi negozi di dischi, ed io stesso dovevo spostarmi per acquistarli. A un certo punto, forse anche perché mi stavo evolvendo musicalmente, è accaduto che non riuscivo più a trovare ciò che m’interessava. Capitava inoltre che ascoltassi dischi bellissimi, ma al momento dell’acquisto, mi sentivo rispondere: “Mi spiace, ma ne ho solo una copia e devo darla a” e quindi, non riuscivo più ad avere la musica che piaceva a me. Per questo motivo, nel 1991, quando erano già sette anni che facevo il d.j. e conoscevo tutti, ho aperto questo negozio di dischi di 48 mq, dove lavoravamo in cinque. Il “Dance All Day” era perennemente nella top 10 dei Dj Service italiani, ovviamente dopo il “Disco Più” e il “Disco Inn”. All’epoca, facevo anche da grossista e fornivo tutti i negozi della (all’epoca) Jugoslavia, mentre iniziavano ad aprire i primi negozi di dischi a Zagabria. Ha funzionato, anche perché eravamo innovativi: se io facevo la stagione al “Kursaal” o al “Mr. Charlie” di Lignano (Ud) per comodità loro, portavo i dischi a tutti i dj’s che si trovavano lì, per non farli venire fino a Monfalcone a sentirli. Li ascoltavano, sceglievano e acquistavano quello che volevano. Il resto lo riportavo indietro. Portavamo i dischi a Gianni Coletti, Andrea Pellizzari, Gabry Ponte (che all’epoca lavorava alla “Terrazza Mare”) e a tantissimi altri. Un servizio aggiuntivo che era molto gradito. Andavamo ogni lunedì a Milano in via Mecenate, e lì incontravamo tutti i negozianti del nord dell’Italia e puntualmente, si faceva baruffa per aggiudicarsi i dischi. Dopo essermeli aggiudicati, il martedì successivo avevo i dj’s croati che mi aspettavano davanti al negozio alle otto del mattino dopo essersi fatti ore di viaggio in auto per venire da me: il negozio era il punto d’incontro di tutti. Dopo alcuni anni, tuttavia, ero saturo di tutti i problemi e ho chiuso. Ho dato troppa affidabilità a molti dj’s, mi sono fidato facendogli credito e ho ricevuto diverse bidonate. Oltre al fatto che non venivano più in negozio da me e che quindi ho dovuto saldare io i loro debiti, andavano negli altri negozi a parlare male del mio, quindi, l’ho prima affittato e poi venduto.
Chi è stato il tuo miglior acquirente?
(intendiamo tra i dj’s della zona)
Gianfranco Amodio era ogni giorno in negozio. Ascoltava tutto e non usciva mai a mani vuote: possiede un bellissimo archivio di dischi. Anche Andrea Fracasso faceva il pieno ogni settimana. Noi fornivamo anche Radio Italia Network e Radio Fantasy, inoltre, spedivamo in tutta Italia, con cinquanta, sessanta spedizioni ogni settimana, e per farle, stavamo fino alle ventidue in negozio. Sloveni e croati, poi, compravano 2-300 dischi a settimana.
I Dj Point in zona sono praticamente estinti: potrebbe funzionare oggi un negozio di questo tipo ?
Secondo me sì, ma impostato come punto d’incontro: bar con attrezzature per dj’s (naturalmente il gestore deve spiegare come funzionano le attrezzature). In molti comprano macchine costosissime per poi usarle per un decimo delle loro capacità, perché non le sanno usare. Un contesto dove poter testare le nuove apparecchiature, una sorta di centro didattico con l’aggiunta della possibilità di consumare qualcosa in allegria, magari supportato da qualche marchio forte, come Pioneer o Traktor per esempio. Certo, se uno pensa di aprire per guadagnare subito, non va da nessuna parte. Come già detto, per tutte le cose ci vuole la passione.
Quali sono le tue imminenti produzioni discografiche in uscita?
Ho riaperto nel 2013 assieme a Davide Sabadin (Dfc) la mia etichetta “Stereophonic”, anche se gestire tutto, è veramente impegnativo. A me piacciono le cose fatte bene, ma per questo ci vuole una squadra affidabile e ci sto lavorando. Al momento ci sono diverse produzioni in corso che sto preparando per il prossimo WMC di Miami a marzo, dove comunque non sarò presente perché prediligo l’ADE di Amsterdam, che è molto più incentrata sul business. A Miami si fa festa.
Come nasce un tuo pezzo?
Io sono passionale, mi lascio prendere molto dalle mie passioni e mollerei tutto per loro! Non sono un musicista e mi pento di non aver mai studiato musica, ma se ho un cantato in Do Maggiore, riesco ad accompagnarlo con i miei strumenti, perché a orecchio trovo la tonalità. In molti sostengono che sia addirittura meglio così, più istintivo senza i vincoli delle norme della musica. La musica è matematica.
In ogni caso, riprenderò un corso di musica, tastiere di accompagnamento con il Maestro Ballaben che m’insegna ciò che mi serve per quello che faccio io e poi comunque voglio farlo, visto che tra le altre cose faccio corsi per d.j. e per imparare la composizione, a mia volta ho seguito corsi a Londra e ad Amburgo per prendermi la certificazione della Steinberg (*Cubase). Bisogna sempre migliorarsi.
Per le mie produzioni uso molto le drum machine, la parte ritmica la faccio sempre io nei pezzi. Pattern e batterie li programmo tutti io come l’arrangiamento del brano. Quando ho bisogno di parti più melodiche, ad esempio con un violino, mi affido a un musicista di Udine che mi fa le parti e poi l’editing lo lavoro io. Oramai nelle produzioni l’80% è tutto virtuale con computer molto potenti. Però, dipende: ho fatto un disco con il basso suonato da Max Gelsi, o con il violino suonato da Simone D’Eusanio, mi piace avere un’ampia veduta delle produzioni, non mi fossilizzo su un ramo solo, anche perché faccio molte produzioni per conto terzi e produco anche musica dance. Assieme a Simon abbiamo creato un brano per una playmate slovena, che è arrivata quinta all’Award inglese per la musica dance.
Quanto è producente per un artista fare i corsi di djing e di composizone?
Ti faccio un esempio: è come per lo snowboard! :D Io facevo lezioni di snowboard da un maestro, perché all’epoca non c’erano scuole. Il Maestro mi ha detto le due cose fondamentali e dopo dieci minuti, io già andavo. Secondo me, la stessa cosa vale per il d.j. Un corso iniziale per capire la strada, le basi: nel caso del djing parliamo di metrica, quattro quarti, capire la prima battuta, ecc. Questo ti fa partire col piede giusto, ma poi sei tu che ti costruisci la tua strada. Un d.j. non è soltanto tecnica, è anche porsi con le persone: se uno mixa perfettamente in battuta, ma nella serata guarda solo la sua attrezzatura senza degnare di uno sguardo la gente, è destinato a stare a casa. L’approccio con le persone è fondamentale, il d.j. dev’essere una persona completa, i corsi per d.j. non creano mostri che poi portano via il lavoro a tutti.
Facci il nome di un dj/producer che ti piace:
Mi piace moltissimo Uner, con quel sound tribale spagnoleggiante, è molto bravo.
Poi vabbé: Tony Humphries, Frankie Knuckles, Hector Romero, i mostri sacri con i quali ho avuto l’onore di lavorare.
Non mi piace Morales: mi è scaduto dopo averlo visto inviare sms dal cellulare mentre suonava con il Traktor.
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