Il crepacuore uccide più dell’infarto
La sindrome da crepacuore, nota come sindrome di Takotsubo o cardiomiopatia da stress, non è una patologia benigna come ritenuto finora, ma può arrivare a tassi di mortalità superiori a quelli dei pazienti ricoverati in ospedale per infarto (5%). Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Istituto di Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore-Policlinico Gemelli di Roma, grazie ad uno studio pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’. Alla luce dei risultati, avvertono, è “senz’altro opportuno prestare molta attenzione alla gestione clinica di queste pazienti nella fase acuta della patologia e nel ‘follow up’, proprio perché i tassi di mortalità sono paragonabili a quelli dell’infarto”.
Il lavoro è frutto di una collaborazione internazionale (26 centri di 9 Paesi tra Europa e Usa) e per l’Italia ha coinvolto un gruppo di ricercatori della Cattolica guidato da Filippo Crea, direttore del Dipartimento di Scienze cardiovascolari del Policlinico Gemelli, e Leda Galiuto, professore aggregato alla Cattolica e cardiologa dello stesso Dipartimento di Scienze cardiovascolari. Tra i centri universitari internazionali coinvolti: la Mayo Clinic di Rochester, l’Università di Zurigo e la Oxford University. Sono stati studiati 1.750 pazienti con sindrome di Takotsubo, con l’obiettivo di caratterizzarli clinicamente e comprenderne l’evoluzione clinica, nonché valutare i risultati della terapia oggi in uso.
“Le alterazioni del microcircolo coronarico hanno un ruolo fondamentale in molte malattie cardiovascolari e in particolare, come da noi recentemente dimostrato, nella sindrome di Takostsubo - spiega Crea - Queste conoscenze diventano particolarmente importanti alla luce dello studio appena pubblicato, perché consentono di identificare nuovi bersagli terapeutici per una sindrome che non è così benigna come ritenuto in precedenza. Quello pubblicato è il primo studio internazionale sulla sindrome di Takotsubo (International Takotsubo Registry Intertak).
“La raccolta dati - chiarisce Galiuto - è stata eseguita dagli specialisti del Dipartimento di Cardiologia dell’Università di Zurigo. La sindrome da crepacuore colpisce soprattutto le donne (in questo studio in rapporto 9:1) e prevalentemente dopo uno stress emotivo, tipicamente un lutto (nel 30% dei casi), o fisico come un intervento chirurgico (nel 36%). La sindrome di Takotsubo si associa a malattia neurologica o psichiatrica nella metà dei casi, ovvero si presenta spesso in associazione a disturbi psichiatrici come la depressione”.
La sindrome si manifesta come un infarto, con sintomi quali dolore al petto o affanno improvviso, si associa ad alterazioni dell’elettrocardiogramma, ma al momento della coronarografia d’urgenza, eseguita nel sospetto di infarto miocardico, le coronarie risultano sorprendentemente normali, senza stenosi (restringimento). Il cuore, però, mostra una alterazione della forma, che diventa a palloncino, a simulare appunto il vaso (tsubo) che usano i giapponesi per raccogliere i polipi (tako).
“Il precedente studio realizzato al Policlinico Gemelli, pubblicato sull'’European Heart Journal’ nel 2010, ha chiarito la fisiopatologia di questa sindrome caratterizzata da costrizione reversibile dei piccoli vasi del cuore”, ricorda Galiuto.
“Oggi - prosegue la cardiologa - questo studio multicentrico approdato sul ‘Nejm’ chiarisce che, nonostante le disfunzioni microvascolare e miocardica tipiche della sindrome da crepacuore siano reversibili, la prognosi per questi pazienti è simile a quella dei pazienti con infarto, cioè con possibilità di shock cardiogeno (una condizione grave nella quale il cuore non pompa sufficiente sangue all’organismo) nel 12% dei casi e di morte nel 5% dei casi”.
Dunque la sindrome di Takotsubo, il cui meccanismo è stato chiarito dal team di ricercatori coordinati da Crea, dando impulso al fiorire della ricerca in questo settore, “non è affatto una malattia benigna - concludono gli autori Crea e Galiuto - Pertanto devono essere perseguiti tutti gli sforzi atti a migliore la comprensione delle cause e a una più puntuale scelta terapeutica”. (adnkronos)