I miti della consolle del Fvg: Master Dee, un’anima techno partita dal ballo liscio :D
di Katya Malagnini
http://www.facebook.com/katya.malagnini
“Scoprire la vita, è come quando improvvisamente t’accorgi di avere qualcosa in mezzo alle gambe: è la prima cotta” :D:D (*solo lui!!)
“Ecco, questa collana è veramente importante per me, la indossavo sempre, è stata uno dei miei simboli”.
Così dicendo, la prende e la infila nello scanner :D per acquisirne l’immagine :D
Ve lo scrivo, per farvi capire, con una frase, chi è Dario Nappa, conosciuto alle cronache mondane con il nome di Master Dee. Quarantun anni, di cui venticinque di storia alla consolle in quasi tutti i locali di tendenza del Friuli Venezia Giulia negli anni novanta e duemila. Carismatico come pochi, in questo periodo si esibisce al “Krepapelle” di Udine, al “Mandracchio” di Trieste, e la domenica, nella suggestiva situazione musicale de “La Dolce Vita” a Manzano (Ud). Ha una storia lunghissima e intensa alle spalle, e molta ancora da scrivere. Per parlare del suo passato, non si affida a fastidiosi elenchi biografici e preferisce fare il narratore, perché ogni dettaglio, è accompagnato da una forte emozione, e lui sottolinea spesso quanto le due cose siano collegate. Ecco che …in un piovoso pomeriggio musicale, inizia a raccontarmi la sua storia. Master Dee è… in quest’occasione, il cantastorie di tutti noi, di emozioni e periodi che quasi tutti in Fvg abbiamo vissuto.
Rituale imprescindibile: come hai cominciato a fare il dj?
Sono cresciuto con la musica e con le discoteche! Mia sorella Marina lavorava come barista al Nephentes (ex Euforia), una discoteca nei pressi di Duino (Ts). Era lei ad avere la passione per i vinili, li ascoltava in camera, dove a me era proibito l’accesso perché ero piccolo. Di nascosto, ascoltavo dal corridoio, perché ero curiosissimo! Lei ogni tanto mi faceva entrare, finché ha capito che la cosa mi appassionava tantissimo, tanto da regalarmi il mio primo disco, un 45 giri dell’immensa Amanda Lear. Oltre a questo, mi ha regalato anche il primo vinile dei Kraftwerk.
All’età di quattordici anni, iniziai ad andare le prime volte in discoteca, di domenica pomeriggio all’Hippodrome (che all’epoca si chiamava Valentinis). Erano i tempi in cui con quindicimila lire facevi quattro giorni, che meraviglia! Ho messo piede per la prima volta in discoteca perché mi piaceva la musica, ma soprattutto, amavo ballare con i miei amici. Un giorno, un p.r. veneto della discoteca, notando che facevamo sempre festa, ci disse: “volete fare una festa con me”? Accettammo. Uscì un trionfo, era il mio ufficiale esordio da p.r. organizzatore! Ci prese in simpatia, ma io restavo nell’ombra, non puntavo dritto alla consolle; amando ballare, mi bastava far festa e avere le consumazioni omaggio. Inoltre, avendo una famiglia numerosa :-) sono sempre riuscito a portare tanta gente.
Fermi tutti, l’ho trovato! Finalmente, un d.j. che conferma la mia teoria: davvero ami ballare?
Certo che amo ballare, la musica va ballata, vissuta, e come ti dicevo, organizzavo feste e la cosa mi piaceva. Ho continuato, entrando sempre più in confidenza con il personale (come spesso accade) quando, nel 1987, incontro Roberto, con il quale lego subito.
Lui aveva la mansione di regista del “Valentinis“, e da una consolle in alto, comandava tutte le sale. Quando ho visto quella consolle, con una parete di amplificatori con schermi ovunque, sono impazzito, sembrava uno studio televisivo, una mecca. Un giorno mi disse: “Devo partire per il militare, vuoi prendere il mio posto”?
Imparai le cose basilari in sei mesi, e quindi mi ritrovai al suo posto, assunto come regista, con tanto di divisa con la targhetta “Valentinis”.
Facevo anche le pause orchestra, e quelle dei concerti. Ricordo nomi come Raul Casadei, Vasco Rossi, Loredana Berté e i Nomadi.
Ve lo devo dire: scoop sorpresaaaa! I primi dischi che ha messo su Master Dee sono stati dischi da ballo liscio! Polke e Mazurke.
E poi cosa accadde?
Nel 1988 conobbi Roberto Bortolotti, per gli amici Roby D.j. Diventando suo amico, la consolle mi apparve meno invalicabile. Lasciai la regia, e iniziai a fargli da spalla.
All’inizio gli portavo da bere, scrivevo i dischi per la S.i.a.e, e facevo il porta valigie. Era il massimo cui un aiutante d.j. potesse aspirare. L’immagine del d.j. era molto forte, ed io non ero nessuno, gli stavo accanto e ballavo, non chiedevo altro. Lui un giorno mi chiese: “Ti piacerebbe fare il dj? Sai, io lavoro a Radio 109 Network“.
Andai in radio, e diventai regista per il suo programma del sabato pomeriggio, che trattava la dance music. Mi trovai ad armeggiare con i mixer da studio, le cassettine e i Thorens, dove per la prima volta, sotto la sua guida che pazientemente mi spiegava i tempi, mixai i miei primi due dischi. Rimasi a provare i cambi un anno nella sala due, mentre lui faceva il suo programma radiofonico, poi una sera, sempre al Valentinis, mi spiazzò dicendomi: “Sei pronto a mettere su due dischi”? Panico!
Feci un disastro! Altro che cavalli, sembrava una gara di equitazione :D Risero tutti. Nonostante questo, Roby m’incoraggiò, dicendomi di non mollare.
Fu lo start ufficiale di D.j. Dario, e iniziai a comprare i primi dei miei diciottomila vinili.
Quale fu il passo successivo?
Uno sbaglio, perché m’innamorai di una ragazza e lasciai stare un po’ tutto. Vabbé, fa parte delle fasi della vita, e a diciassette anni non comprendi bene le priorità. Nel frattempo, però, avevo sviluppato anche il mio amore per la musica techno, e compravo esclusivamente dischi così, ne avevo già una cinquantina, con i quali facevo le feste. Nel 1989 ottenni un ingaggio all’Isola D’Oro di Grado (Go). Mi occupai anche di muratura :D e arrivavo con la carriola! Ero disposto a tutto per lavorare lì per quarantamila lire a sera (più vitto e alloggio). A parlare d’intrattenimento oggi nella città di Grado si stenta a crederci, ma a fine anni ottanta, c’erano cinque discoteche in quella località! Il problema sorse quando si svelò il mio “arcano musicale”. Facendo solo techno, ero limitato, ma a loro avevo mentito, dicendo che avevo anche altri generi musicali. Il pubblico mi chiedeva le hit di fine anni ottanta, ed io mettevo bombe atomiche :D:D Risultato? Mi licenziarono dopo un mese.
Che cosa facesti a quel punto?
Avevo l’appartamento a Grado pagato anche per il mese di luglio, quindi rimasi lì in villeggiatura. Finito il mese di vacanza, un pomeriggio, passeggiando per il viale con i miei dischi sottobraccio, mi fermò un ragazzo chiedendomi se fossi un d.j.
Era Federico Visintin, in arte Chicco D.j. che lavorava alla “Taverna Blu” e cercava proprio un d.j. techno che lo compensasse. Così andai da lui, dove conobbi anche Dino, il barista che cambiò il mio nome d’arte da D.j. Dario a Master D.
Fermooo! Mi stai raccontando tutto tu! :D Procediamo: come nacque lo pseudonimo Master D? (*inizialmente, era scritto così, le due E finali, vennero aggiunte in seguito…come vedremo).
Lavoravo alla “Taverna Blu“, e in una delle tante serate alcoliche :D di rientro (ero a piedi, non avevo ancora preso la patente) Dino mi disse che il nome Dario D.j. non suonava per niente.
In quel momento, ero di profilo, a petto nudo, e avevo la pancia gonfia da birra :D e lui mi disse: “Ho trovato! Grande Dario, in inglese, Master Dario, Master D!)”. Io ero imbarazzato, e risposi: “Ma come grande!” e lui disse: “Ma sì, ara che panza che te ga!” :D:D:D
Il tam tam si diffuse rapidamente; quando sentivo il mio nome, oramai era solo Master D, Master D e birimbimbì :D:D:D e mi ci sono identificato.
Come ti sei reso conto che la techno era la musica che amavi di più?
Come te lo spiego? I battiti della techno, il basso secco e profondo, le pause. Sono come le vibrazioni del corpo; è il cuore che batte, è come fare l’amore. Battito=cuore.
Condivido esattamente il suo pensiero, e come da aspettative, questa intervista, per la sottoscritta, diventa man mano emotivamente impegnativa, per un passato techno e hardstyle soffocato ma mai dimenticato, dove questi suoni rimangono gli unici in grado di portarmi il cuore a mille. Tuttavia, non do cenni di scomponimento, e proseguo impassibile.
Purtroppo la musica techno è spesso associata a situazioni di sballo. Vuoi dire la tua?
Per me quel tipo di sballo non esiste, la musica techno è amore e condivisione. Sono dodici anni che vado regolarmente a Ibiza, e non ho mai visto una lite. Forse sono stato fortunato. Ovviamente non sono cieco, e so che ci sono persone che si drogano, ma non sono assolutamente d’accordo, la mia droga è la musica.
Che cosa ti colpisce in un disco?
La cassa, indipendentemente che sia a 100 o a 150 bpm. Poi, il disco deve avere una storia, e questo secondo me accade con la techno.
Scegli un disco del passato
“Plastic Dream” di Jaydee
Torniamo a noi. Cosa ha fatto poi… il neonato Master D?
Nel 1991, dopo aver ampliato il mio programma discografico anche con la commerciale, tornai a 109 Network, stavolta in versione d.j. e da lì partì anche lo “Studio Deejay Tour“, nato in sordina come festa di paese, serata danzante con consolle casereccia (*lui ne parla con una naturalezza sconvolgente, mentre io vengo assalita da brividi e pelle d’oca che per fortuna, rimangono nascosti sotto la maglia ^_^).
 
Da dove parte l’idea di portare la discoteca nel pre-serata in piazza?
L’idea venne al fondatore di Studio Deejay, che aveva questa radio (109 Network) sopra un bar di Sagrado (Go). All’epoca, acquistare una frequenza era relativamente semplice e poco costoso. Gli introiti pubblicitari, fecero sì che noi disponessimo di un furgone per iniziare quest’avventura, che da subito ebbe molto successo, con la gente che veniva in tutti i modi, anche a piedi e in bicicletta (*io ero quella in bici :D) per ascoltare musica e mangiare, e a mezzanotte si chiudeva tutto. Ben presto divenne una moda.
Date un microfono a Dario e la pista cambierà :) Il tuo carisma nel fare animazione è notevole, ti ricordi le prime cose che hai detto al microfono?
Pensa che all’inizio io non parlavo! Infatti, a Studio Deejay mi bacchettarono e m’imposero di prendere il microfono e fare animazione! Le regole, lì erano ferree: oltre all’animazione, dovevo fare un mix ogni minuto, e stiamo parlando di dischi in vinile! Era tassativo: dopo sessanta secondi, la canzone doveva cambiare. Se per caso sbagliavo e la facevo durare un minuto e dieci, prendevo pedate nel sedere, e non intendo in senso metaforico! In più, dovevo arrivare alle 20.30. Se arrivavo alle 20.35, avevo cinquantamila lire in meno. Nel frattempo, grazie a “Studio Deejay“, era iniziato il mio percorso, oramai avevo un seguito, e alle mie serate venivano puntualmente circa trecento persone. Nel 1992 ero oramai un d.j. completo: parlavo al microfono, e avevo notevolmente ampliato il mio bagaglio musicale con la commerciale, il revival e l’italiano. Come molti miei colleghi, investivo quasi tutti i guadagni delle serate in dischi. Per fortuna, avevo anche un altro lavoro diurno, facevo il saldatore, e di notte andavo a fare le serate.
Percepivo due stipendi, e riuscivo tranquillamente a spendere due milioni e mezzo delle vecchie lire ogni mese in dischi. Per me, comprarli era diventata una droga: ne prendevo talmente tanti, che a volte mi trovavo dischi doppi o addirittura tripli, perché non mi ricordavo quali avessi già acquistato. Ho sempre comprato dischi per la pista, ma anche per me stesso! Ce ne sono un sacco che io ho ascoltato milioni di volte, senza mai suonarli in discoteca, faccio selezione.
Dario… che cosa fa esattamente un dj?
Il d.j. è un selezionatore di musica! Non è affatto un musicista, sia ben chiaro! Io non so nemmeno cosa sia un “Do Re Mi”. Sono un musicante, dire musicista la trovo una bestemmia. Solitamente, è guerra tra djs e musicisti, io invece lavoro spesso con loro e mi accettano, perché li rispetto.
Oltre a donare meravigliose emozioni a centinaia di noi, “Studio Deejay” ha dato delle bellissime cose anche a te!
Sì, momenti stupendi! Nel 1997, però, ho deciso di fare dei cambiamenti, avevo voglia di novità. Grazie al mio amico Mauro Novani, ho fatto la mia prima esperienza come d.j. all’estero, in Austria alla discoteca Cabana, dov’ero resident venerdì, sabato e domenica. Un anno e mezzo senza parlare il tedesco e con un inglese scolastico, ma fui accettato benissimo. Non è stato facile, avevo tutti contro quando ho lasciato “Studio Deejay“, mi dicevano: “Perché l’hai fatto”? Io però volevo cambiare, non restare fossilizzato, e non è un caso se l’anno successivo per me, poi, è arrivato il Cantera. Stavano nascendo i primi bar che s’inventavano discoteca, venni chiamato da Paride che a quei tempi aveva il “Cutter Club“, un locale di punta situato nel primo centro commerciale di Monfalcone (Go) che era perennemente imballato (*e che ricordi!) e da Enzo Zippo, grande d.j. e musicista, che all’epoca aveva il “Boa Vista” e quindi, nel 1998 inizio a lavorare anche con loro. Sempre a Mauro Novani devo il mio ingresso al Cantera Café a Sistiana Mare (Ts) nel 1998. Lui mi parlava di questo locale già dal ‘96, ma facevano serate in via sperimentale. L’estate del 1998 ha segnato il mio debutto che tuttora mi vede presente lì, per il sedicesimo anno consecutivo.
Altolà: abbiamo perso un pezzo importantissimo: parlando del 1991 :D (*.*) sbaglio, o era l’annata in cui tu approdavi alla consolle dell’ “Invidia”? (ex Xicoco, altro locale storico della movida del Fvg che sorgeva a Terzo di Aquileia). Come ci sei arrivato lì?
Esattamente, proprio in quegli anni! Ci arrivai grazie a “Studio Deejay“! Mi vide Stefano Caserta, allora titolare dell’ Invidia, dove lavoravano due p.r. che oggi sono volti notissimi delle notti del Fvg: Adriano Cerato e Gianluigi Ottomeni. Mentre lavoravo lì, ero anche al Vertigo (*oggi Colonial) a Trieste, e all’ Arenella assieme a Sandro Orlando, nel locale allora di punta a Fiumicello. Venni inoltre contattato da Fiabane Mauro (:D!) all’epoca direttore artistico dell’ Hippodrome, che mi volle lì per le domeniche, ma non mi sentii valorizzato, venni spostato dalla sala Vanità Ritmica alla saletta sottostante (*che in quel periodo vedeva la sua fase di avvio per poi trasformarsi nel fantastico Go-Diva nel 1994). Era una missione difficile, in quella sala non c’era nessuno e la prima domenica, feci tre persone. La seconda, pensai di sfruttare il fatto che quella fosse la sala che faceva da “tramite” tra il colosso “Vanità Ritmica” e i bagni, e ogni volta che passava la gente, io urlavo al microfono come se avessi la pista imballata. Sembrerà un’eresia, ma ha funzionato. All’inizio mi guardavano con la faccia strana, poi le persone sono aumentate. Da quindici a duecentocinquanta persone in tre domeniche.
Parlando di quella meravigliosa saletta, mi viene automaticamente in mente il nome di un altro dei miei maestri, Cristiano Romani, che in quella sala, arrivò subito dopo di te. La tecnica di Cristiano è passata alla storia (mai nessuno come lui). Visto che anche tu ci tenevi a citarlo, e visto che avete lavorato insieme, parliamo un po’ di lui!
Cristiano è un omone di due metri! Il gigante buono, così lo chiamavo! All’epoca aveva dei capelli ricci e lunghi, era educato, gentile, e parlava solo in italiano. Lui è una di quelle persone che… secondo me, nella vita avrebbe potuto fare tantissimo in consolle. Era tecnologicamente all’avanguardia, portato per l’elettronica, e tecnicamente, quando mixava, era un mostro, sembrava che il disco non finisse mai.
Lui è stato uno dei pochi ai quali ho concesso la consolle dello “Studio Deejay”, lo stimo tanto!
Dobbiamo organizzare una serata remember progressive- underground, io, te e lui.
Cristiano, questo è un messaggio per te: rimettiti le cuffie…SUBITO :D
E dopo l’Hippodrome?
Ripartii con lo “Studio Deejay” tour, fino al 1997, sette giorni su sette, addirittura in una sera facevamo due località diverse. Era diventato un colosso, con punte di mille persone, ed io ero una piccola star, arrivavo sulla mia Vespa con la mia epica giacca blu in stile Fiorello :D e firmavo anche autografi! Avevo dei capelli lunghi e bellissimi, che persino le donne m’invidiavano: lucidi, folti, perfetti.
Bravo, parliamo dei tuoi meravigliosi capelli: perché avevi scelto di tenerli lunghi…e perché li hai tagliati?
Come ricorderai, i capelli lunghi nei maschi andavano molto di moda nei primi anni ‘90. Nell’ ottantanove fui vittima :D di uno dei primi esperimenti in Italia per l’extension! Non essendo abituato ai capelli lunghi, stavo con la testa piegata in direzione della frangia, e avevo sempre la faccia storta :D poi ho fatto anche il modello per un amico parrucchiere al Cosmoprof (*prestigiosa fiera mondiale della cosmesi che si tiene annualmente a Bologna).
Ci misero sedici ore per attaccarmi i capelli lunghi (ovviamente finti) ma… fermi là! I miei erano capelli finti solo inizialmente! Notai che stavo bene, e pensai quindi, di far crescere i miei veri capelli, che divennero tratto distintivo della mia personalità. Li tagliai nel ‘99, ero stufo.
Ok, chiudi gli occhi: siamo nel 1992 e tu sei alla consolle dell’ Invidia: dimmi cosa vedi
(*unico momento di silenzio nell’intervista)
Mi ricordo in particolare di una domenica pomeriggio, una delle più belle della mia vita, dove dalle sedici alle diciannove ho fatto techno a manetta. L’ Invidia era estrema possibilità di espressione: se compravo dieci dischi nuovi, potevo suonarli tutti e dieci, senza seguire classifiche o altro. Suonare per il piacere di farlo, addirittura veniva gente da Treviso!
*A questo punto di conversazione con il collega Maestro, un flebile dubbio :D mi attanaglia la mente e oso: “Perdonami, probabilmente non ho capito nulla io di questo mestiere ma credo stia anche nella capacità del d.j. il fatto di riuscire a imporre la sua musica assieme a ciò che il pubblico chiede o no?”
Sicuramente, è proprio questo il gioco del d.j. Per quanto riguarda me, inizialmente pensavo che fosse una questione di culo il fatto di proporre dischi che poi funzionano (*ride) invece a quanto pare si chiama in un altro modo.
Si scusa, interrompe la conversazione, si alza e fa una telefonata. Dopo pochi secondi, realizzo che la destinataria della chiamata è sua madre, che si trovava nell’altra stanza :D:D alla quale chiede di prepararci due caffè :D
Quindi ricominciamo:
Negli anni novanta (a ridaje :D) in Veneto c’erano molti templi della musica techno in Italia, come il Tnt, l’Area City, e soprattutto…l ‘Omen Frankfurt (pauuuuuuura :D:D)
Come mai non sei mai stato lì pur avendo una prepotente anima techno?
A causa del mio più grande problema: ho paura di propormi, e per fortuna mi hanno sempre cercato. Il lavoro del d.j. è secondo me fatto di tre step, che sono: essere al posto giusto nel momento giusto (cosa che in Friuli è sempre stata latitante) avere conoscenze, e fare un disco che diventi importante. Io non ho fatto nessuno dei tre step :)
Guardandoti, non si può fare a meno di notare i tuoi tatuaggi: quanti ne hai e cosa rappresentano?
Non li ho mai contati, in tutta sincerità non lo so! Hanno tutti un significato e sono legati a un determinato periodo della mia vita. Il primo lo feci nel 1993, all’epoca il mio tatuatore faceva l’elettricista, oggi è invece affermatissimo. Iniziai a tatuarmi per cancellare una schifezza che mi ero fatto da solo (*argh!!!) quando andavo alle medie, avevo il mio momento punk, con tanto di spilla da balia messa a mo’ di piercieng o.O nel naso! Insomma, volevo cancellare quella porcheria di specie di tatuaggio, e poi, non mi sono più fermato. Sulla schiena non ne ho, ne ho uno sul polpaccio che mi piace particolarmente: raffigura quel genio di Salvador Dalì. Ho sempre osato, facendo cose in anni in cui erano sconsiderate. Non mi è mai importato nulla di cosa potesse pensare la gente, perché nella vita, ho imparato che se non conosci davvero una persona, non puoi giudicarla, e lo dico, perché sono sempre stato giudicato! Su dieci persone che conosco, otto non hanno mai capito la mia personalità. Erano gli anni in cui se un uomo aveva l’orecchino sulla sinistra era un tossico, se lo aveva sulla destra era gay e allora io me lo feci su tutte e due le orecchie :D con sette orecchini da un lato e otto dall’altro, in una Monfalcone molto bigotta. Le invidie ci sono sempre state, ma sai che quando uno ti giudica dicendo “oh, guarda quello lì” in realtà vorrebbe essere quello lì! A chi ha capito poco di me, vorrei dire che sono in questo mondo dal 1987; siamo nel 2014, ed io ancora mi emoziono ascoltando un disco, mi viene da piangere! La musica mi ha cambiato la vita!
Quando ti guardi allo specchio in un momento di silenzio interiore (? :D) sei consapevole di tutto ciò che hai creato? Ti rendi conto di essere stato un mito per moltissime persone che poi hanno seguito le tue orme?
Assolutamente no, non mi sento di avere questi meriti, anche se sono consapevole che ci sono persone che mi stimano e mi vogliono bene (e che mi citano nelle interviste :D). Naturalmente, mi fa piacere sapere che qualcuno s’ispiri a me! Essere una musa ispiratrice mi lusinga, ma non mi sento assolutamente un Maestro.
Cosa ha colpito tutti gli aspiranti djs che hanno visto in Master Dee l’ispirazione ?
Che sono un pazzo.
Pazzo per la musica. Credo sia questo! Quando c’é il filone giusto con la gente che risponde bene, divento tutt’uno con la consolle e vorrei non smettere mai di suonare. Comincio a tirare numeroni, tolgo la maglia, salgo sulle sedie, vorrei spaccar tutto :D
La cosa più folle che hai fatto in consolle?
Non posso dirla
*tra le risate intuitive, riformulo la domanda :D
La cosa più folle che hai fatto in consolle escludendo qualsiasi allusione sessuale ? :D
Rimane inerente, perché sono scappato in bagno con una tipa mollando la consolle con i dischi che giravano a vuoto :D
Se io ti dico anni novanta, mi dici i ricordi più forti che hai di quel periodo? (*c’ho la fissa #loso, ma sono scusata, in quanto la sua storia negli anni novanta è stata importante)
La prima cosa che mi viene in mente, è quando davamo alla gente i calendari con le date dello “Studio Deejay”. Per farlo, dovevo togliere la puntina dal disco, perché la folla si accalcava e ci spostava addirittura la consolle di due metri indietro per prendere i calendarietti. Era come dare il pane a qualcuno che non mangia da un mese.
Poi, come ti dicevo, ho un bellissimo ricordo anche di quando mi chiedevano autografi pur non essendo una rockstar. Come fai a dimenticare?
Sempre a “Studio Deejay”, capitò che una sera venne Linus, per comprare le frequenze di 109 Network, dato che era in giro per tutta l’Italia a comprarle per far diventare Radio Deejay una radio nazionale. Una sera, vedendo tutta la gente che veniva alle mie serate, mi chiese se ci fosse un concerto, dicendomi che lui non faceva tutte quelle persone nemmeno con Jovanotti a Milano. Eravamo avanti per molte cose, ora, invece, il Friuli Venezia Giulia è tornato indietro. Oramai, ci è rimasta la cultura del mangiare e bere (più bere che mangiare).
La cosa che in assoluto mi manca di più degli anni novanta, è Il rispetto per la gente che non c’é più! I buttafuori servivano relativamente allora, perché nella maggior parte dei casi, la gente andava a far festa per divertirsi e non per far baruffa. Chiariamoci: le liti c’erano, ma era un diverso concetto di litigare. Se io negli anni novanta rispondevo male a uno più grande di me, oltre a prendermele da lui stesso, a casa le prendevo anche da mio padre, per aver mancato di rispetto a una persona più grande.
Sono sparite le parole e le strette di mano, ora è tutto finto. Una volta avevo i colleghi, non quelli che vogliono portarmi via il lavoro.
Parlando di persone e abitudini: che differenze di pubblico noti tra i giorni nostri e il passato?
La questione è semplice: una volta, si andava in discoteca per ballare, cantare e stare assieme. La musica era condivisione e unione.
Adesso, anche grazie alle mode e alle tecnologie, tutto questo non esiste più. Spesso i giovani non ricordano nemmeno chi era il d.j. alla serata in cui sono stati poche ore prima. Tremendo, è tutto troppo facile, non c’é amore in niente. Ti chiedono di salutare il tavolo…ma per piacere!
E tu salutalo il tavolo! :D Vai dal tavolo, lo accarezzi e gli dici: ciao tavolino, stai bene? Poverino, ti hanno fatto all’Ikea eh? :D:D
Vuoi lanciare un messaggio ai sempre più numerosi giovani che stanno fermi in pista col cellulare in mano?
Sì: “Sparatevi!” Se potessi, vieterei il cellulare alle serate! Sarebbe una bella idea.
Mi dici una cosa che un d.j. non deve fare?
Ripetere i brani! Quella è una cosa che io ho sempre odiato, perché una serata dura quattro o cinque ore, e c’é un sacco di musica da suonare. Unica concessione (a mezzanotte e alle cinque) per il disco del momento. Bisogna osare, no all’insicurezza. Vedo colleghi che sparano tutte le hit di fila e all’una e quarantacinque, le hanno già messe tutte. Poi cosa fanno? Ripetono. Ma ripetetevi stocca :D:D (*non traduciamo, avete intuito).
Con chi ti trovi bene in consolle?
Ci sono state diverse persone che non hanno condiviso il mio modo di suonare, ma di loro non voglio parlare. Ci sono troppi djs bravi e anonimi, e molti altri non bravi che lavorano sempre. In ogni caso, vincono i secondi. Attualmente sto lavorando con Matteo Della Santa, che reputo molto valido, guarda la pista e parla al microfono. Carlo Pontoni, figlio di Renato, molto bravo e umile. Vorrei poi citare Thomas Dorsi, l’ho voluto io al Cantera, è bravo e bello!
Un d.j. bravissimo è Roy, è il nuovo Romani, il nuovo Barbato. Ha una selezione musicale spaventosa, sempre attento alla ricerca. Tra gli emergenti, loro sono i migliori. Anch’io mi sento emergente, al di fuori del Friuli, nonostante venticinque anni di consolle. Sono sempre stato umile, questa è la cosa che paga alla fine. Ci sarà sempre qualcuno più bravo di te e anche i ventenni possono insegnarti qualcosa.
Hai sperimentato anche i “Silent Party” una moda acquisita dall’estero: com’è stata questa esperienza?
Non ci credevo, ero scettico, e mi ha sbalordito! Quattro mesi fa sono stato chiamato, e mi sono trovato davanti a tre consolle diverse, di cui una, spettava a me. La musica andava mixata interamente in cuffia. C’erano delle lucette di riferimento, e in base alla scelta musicale, gli utenti che indossavano la cuffia, sentivano la musica che veniva dalla consolle prescelta. Io, per esempio, avevo il colore blu. Con mia grande meraviglia, a un certo punto, il direttore di questo evento venne in sala a chiedere chi avesse la luce blu. Tre quarti delle persone stavano ascoltando la mia musica. Fantastico!
Com’é il tuo mondo al di fuori della consolle? Com’é l’intimo di Master Dee?
L’intimo di Master Dee è XXL :D:D:D:D
Scherzi a parte. Non sono uno che ha la passione della lettura e le immersioni nella natura. Ascolto musica, e amo guidare di notte. La mia massima intimità è con il mio gatto (*ghiùùù).
Polpetta (:D) mi è stato regalato nel 2007 da mia nipote, che all’epoca lavorava alla Cuccia. Era talmente piccolo e tondeggiante che mi stava in una mano, e sembrava una polpetta, per questo l’ho chiamato così.
Dopo sette giorni, Polpetta sta male, viene colpito da una forte gastroenterite. La porto dal veterinario, che in modo molto distaccato, mi dice che forse non avrebbe passato la notte, a meno che non gli avessi fatto una puntura ogni sei ore per due giorni. Come se non volessi farlo! Ero veramente incazzato! Per tre giorni, il mio gatto è stato sul mio collo, forse sentiva un’ancora di salvezza. Ogni sei ore gli facevo le punture, ed è guarito. Da quel momento è parte della famiglia.
Nel 2008, ho un colpo di sonno alla guida e vado con la macchina contro un platano. Ero rovinato, ma appena uscito dall’ospedale, stetti tre giorni a letto senza riuscire a muovermi, e Polpetta, per tutti i tre giorni, non si è staccato dal mio petto.
Quando preparo i vestiti per uscire, me li nasconde sotto il letto perché non vuole che vada via, e quando vede una valigia, vi si infila dentro :D quindi è come fosse mio fratello, è una parte di me.
Che progetti hai per il futuro?
Ti rispondo citando il Maestro dei djs, quello vero: Renzo Arbore. Senza di lui, nessuno di noi sarebbe qui.
A questa domanda, lui rispose: “Vorrei fare il dj“. Ecco, anch’io.
Oramai lo squarcio emotivo che questa overdose di ricordi mi ha generato è salito in superficie, e finalmente, dopo tanto tempo, lo lascio emergere. Le lacrime non sono fisiche, solo interiori, le vedo comunque riflesse nella pioggia battente che incessantemente ha contornato tutta l’intervista. Mi sento pronta per aprire una porta che credevo chiusa a chiave, e mentre Dario già pensava che l’intervista fosse conclusa, gli dico:
Abbiamo saltato una cosa importante: nel 2003 sei entrato a far parte della grande famiglia della discoteca Mirò a Lignano Sabbiadoro (Ud). Ne parliamo?
Nel 1998, conosco Carlo Oliva (*d.j. e produttore allora all’apice del successo con “Sexo Sexo” di Carolina Marquez e “Se ti sale” di Art Of Love).
Il nostro primo venerdì insieme in consolle, gli chiedo, con grande umiltà, se volesse suonare lui determinati dischi, perché non volevo assolutamente rubargli la scena. Lui apprezzò, diventammo amici e mi disse che se mai fosse diventato direttore artistico di un locale, mi avrebbe chiamato a suonare. Così fece cinque anni dopo, quando divenne direttore artistico del Mirò. Ringrazierò per sempre Carlo, che tra le altre cose, mi ha ribattezzato, aggiungendo due E alla mia D finale. Così sono diventato Master Dee, perché, secondo lui, faceva più “d.j. internazionale”.
Il Mirò fu un’esperienza bellissima, in “House Garden“, ricevevo un sacco di complimenti, anche dagli ospiti che venivano a suonare. Ho ricordi fantastici!
Furono gli ultimi due anni in cui mi sentii davvero un d.j.
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