di Maria Luisa Runti
Straordinario successo e Teatro esaurito il 26.9 us per “Otello”, diretto da Pinchas Steinberg, con la regia, scene, costumi e luci di Stefano Poda che ha inaugurato la stagione lirica 2015-2016.
Penultimo capolavoro di Giuseppe Verdi, con libretto di Arrigo Boito, si basa sulla omonima tragedia di W. Shakespeare.
La prima ebbe luogo a Milano nell’ambito della stagione di Carnevale e Quaresima del Teatro alla Scala, il 5 febbraio 1887. Una nota interessante riguarda la versione francese di Verdi che operò alcune modifiche alla partitura con l’aggiunta delle danze nel terzo atto, secondo, appunto, la convenzione francese. Andò in scena al Théâtre de l’Opéra di Parigi come Othello, il 12 ottobre 1894 ed il libretto fu tradotto dallo stesso Boito e da Camille du Locle.
Toccante ed emozionante la breve cerimonia di introduzione con gli interventi delle autorità fra cui il Sindaco del Distretto di Terézvaros di Budapest, Dr. Zsofia Hassay. Sono stati suonati l’Inno nazionale ungherese e quello del Distretto che hanno visto tutto il pubblico in piedi in attento e commosso ascolto.
Edizione mozzafiato, del tutto diversa dal consueto. Stefano Poda ne ha fatto un capolavoro atemporale, fra realtà e misticismo, sottolineando il subconscio fra “sentieri” onirici, in un mondo di ombre, segreti e visioni. Il bene ed il male, il bianco ed il nero diventano simboli esistenziali in cui anche oggi possiamo ritrovarci. La sua regia crea e suggerisce gli “spettri” che albergano in noi, indaga ed approfondisce i meandri dell’anima con forza creativa, profonda introspezione e suggestione visiva. La sua genialità rende raro, pressoché unico, l’approccio all’opera poiché non solo di regia si parla ma anche di scene, costumi e luci. Ogni tassello è pensato, voluto e realizzato alla perfezione per esaltare il racconto nel totale rispetto della partitura verdiana. Straordinarie le scenografie fra surrealismo e simbolismo con reminiscenze zen. In centro scena una grandiosa forma quadra bianca spruzzata di nero, quasi fossero fiori o lacrime, dove nel mezzo troneggia una sorta di parallelepipedo a punta che, di volta in volta, a seconda delle luci e della calcolata velocità con cui gira su se stesso, simboleggia una prua di nave o una spada o la metafora dell’amore. Magnifiche le sculture delle mani, nere in certe scene, magiche ombre illuminate in altre o quando, a palcoscenico innalzato, compare nella parte bassa un enorme rettangolo di luce bianca. Mani in posture diverse, a volte drammatiche, che si innalzano quasi a voler raggiungere la purezza del cielo, simbolo della vita che finisce ma anche della resurrezione di Otello e Desdemona. Una memoria flash alle mani di Music nei suoi disegni dedicati ai morti nei campi concentramento. Magica la rete-ragnatela, “tessuta” dalle masse del coro nella scena del brindisi del primo atto in cui Jago invoglia Cassio ad ubriacarsi per festeggiare, apparentemente, la vittoria di Otello. Chiara, incisiva metafora ad introdurre le trame di Jago. Rete che si ripresenta nel finale con lunghi, sottili fili calati dall’alto: il fato ha compiuto la sua opera di trappola mortale. Stupendo il disegno luci puntato alle cromie del bianco, del rosso e del bluette. Colori simbolo, giocati alla perfezione: nell’armonia del bianco dominante. Il bluette a sottolineare la scena del bacio sia nel primo atto che nel finale ed il rosso, a guisa di mani-nuvola vaganti su forme grigio cupo come fossero gocce di sangue ad uscire da tombe simulacro. Preziosi, raffinatissimi i costumi in un mix di antica foggia e contemporaneità elegantissima. Ottima la collaborazione di Paolo Giani Cei che ha contribuito allo straordinario lavoro di Poda. Pinchas Steinberg ha impresso all’Orchestra dell’Opera di Stato di Budapest una buona direzione e concertazione, soprattutto nell’introduzione, dove crescendo ritmico e tonale ben preludono al canto ed all’Esultate. Un connubio armonico di sonorità e cromie timbriche, una lettura attenta sebbene non sempre coinvolgente, ben coadiuvata da tutta la compagnia di canto e dal coro, diretto da Kálmán Strausz. Molto buona la prova del coro dei bambini diretti da Gyöngyvér Gupcsó. Rafael Rojas, nel ruolo del protagonista, ha spaziato fra buone coloriture, tessitura appropriata ed a tono, potenza timbrica ed espressiva difettando, a volte, un po’ nel volume. Gabriella Létay Kiss è stata una magnifica Desdemona, appassionata e sofferta, toccando tutti registri armonici dalla soavità e dolcezza di alcune coloriture alla potenza degli squilli acuti. Mihály Kálmándi ha tratteggiato il suo Jago con vocalità sempre ben timbrata, di ampio registro, con coloriture e toni di vibrata intensità. La sua voce calda e rotonda riesce non solo a dare peso e corpo alle note ma è anche in grado di eseguire egregiamente i piani. Tessitura tecnica, eleganza vocale, frasi tenute e buon fraseggio hanno contraddistinto il suo personaggio di cui ha anche reso le difficilissime sfaccettature psicologiche con introspezione interpretativa. Ottima attorialità ha contraddistinto i tre protagonisti. Gergely Boncsér è stato un Cassio dalle coloriture chiare e di diligente stile; bella voce che risulta, a tratti, un po’ monocorde pur spaziando in un ampio fraseggio armonico. Hanno ben completato la compagnia di canto Judit Németh (Emilia) Gergely Ujvári (Roderigo), Sándor Egri (Montano), Ferenc Cserhalmi (Lodovico) e Géza Zsigmond (un Araldo). Applausi scroscianti e molteplici chiamate alla ribalta hanno coronato il grande successo della preziosa serata.
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Photographer: Attila Nagy
MARIA LUISA RUNTI
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