9 aprile - 23 maggio
Galerie Alberta Pane è lieta di annunciare In my beginning is my end, collettiva che mette a confronto la ricerca artistica di Igor Eškinja, Marco Godinho, Adam Vačkář. La mostra, curata da Daniele Capra, raccoglie il lavoro dei tre artisti, ciascuno dei quali è stato invitato a suggerire all’osservatore delle opere che abbiano una particolare carica concettuale, visiva ed espressiva tale da intercettare l’orizzonte temporale dello spettatore e da agire con dinamiche di frizione, spostamento, anticipo.
La mostra, il cui titolo è il verso iniziale di East Cocker, secondo dei Quattro Quartetti di T. S. Eliot, nasce dalla necessità di fornire delle possibilità interpretative su come l’opera sia un dispositivo generatore di senso che si misura costantemente nel suo essere sfasato rispetto a quei contenitori di ordine che noi siamo soliti chiamare tempo presente, tempo passato o tempo futuro. Nella sua sfida reiterata, ripetutamente l’inizio diviene fine, ma essa stessa diventa genesi, in un continuo avanzamento e riassetto temporale.
Un’opera che non sia già dalla sua ideazione momentanea e sfuggevole, come la performance, o programmata per non durare nel tempo - si pensi ad esempio alle tele di Gustav Metzger, che venivano trattate con acidi che causavano la corrosione della superficie - interagisce con l’orizzonte temporale dello spettatore essenzialmente grazie ad una dinamica di sfasamento. Al di là del tempo necessario alla sua osservazione/fruizione, in cui il tempo dell’opera e quello dello spettatore combaciano per inevitabile presenza di entrambi, un’opera compiutamente riuscita (che non sia cioè un banale esercizio di stile) possiede, nella sua finitezza, i germi del futuro, che convivono assieme alle istanze del passato e a quelle del presente che attraversiamo.
È l’incessante sfasamento rispetto al qui e ora dell’opera a determinarne quindi un’estensione temporale inattesa, poiché essa agisce nel mondo e rispetto l’osservatore in una continua ricollocazione, anticipando quel momento che in breve tempo è presente e poi passato. Possiamo in qualche modo estendere all’opera d’arte quella modalità esistenziale che il filosofo Giorgio Agamben intravede nell’essere contemporaneo, in «colui che, percependo il buio del presente, ne afferra l’inesitabile luce; e anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi». Se un’opera infatti, a partire dalle proprie origini, non è in grado di anticipare qualcosa rispetto al futuro, essa perde una delle sue maggiori funzioni: l’essere eversiva, obliqua, in grado di interrogare l’osservatore e di condurlo altrove, anche temporalmente.
vernissage 9 aprile, 5 pm
Galerie Alberta Pane
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