7 – 12 marzo
Teatro della Pergola (ore 20:45, domenica ore 15:45)
Neri Marcorè
QUELLO CHE NON HO
drammaturgia e regia Giorgio Gallione
canzoni Fabrizio De Andrè
scritte con Massimo Bubola, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Mauro Pagani
voci e chitarre Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini
scene e costumi Guido Fiorato
luci Aldo Mantovani
Da martedì 7 a domenica 12 marzo Neri Marcorè, diretto da Giorgio Gallione, porta in scena al Teatro della Pergola Quello che non ho, un affresco che, nella forma del teatro canzone, s’interroga sulla nostra epoca in precario equilibrio tra ansia del presente e speranza nel futuro.
L’ispirazione principale, riconoscibile fin dal titolo, sono le canzoni di Fabrizio De Andrè, suonate e cantate dal vivo dallo stesso Marcorè con l’aiuto tre chitarristi/cantanti come Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini.
“Unendo le canzoni di De Andrè, da Khorakhané a Don Raffaè a Smisurata Preghiera – afferma Neri Marcorè – con le visionarie profezie del poema filmico La rabbia di Pier Paolo Pasolini, proviamo a costruire una nostra visione dell’oggi, un tempo nuovo e in parte inesplorato, in cerca di idee e ideali”.
Le storie emblematiche di Faber, nuove utopie di civile indignazione, s’incrociano quindi con le visioni lucide e beffarde di Pasolini, che raccontano di una “nuova orrenda preistoria”, che mina politicamente ed eticamente la società contemporanea. Le scene e i costumi sono di Guido Fiorato, le luci di Aldo Mantovani. Una produzione del Teatro dell’Archivolto.
Venerdì 10 marzo, ore 19, Neri Marcorè incontra il pubblico per un aperitivo alla Pergola. L’evento è riservato solo ed esclusivamente agli abbonati under26.
Nelle ultime stagioni Neri Marcorè ha molto frequentato il teatro musicale, esplorando, tra l’altro, Giorgio Gaber con Un certo Signor G. e i Beatles con Submarine, costruendo spettacoli che guardano sia al teatro civile che alla bizzarra giocosità del surreale. Con Quello che non ho, scritto e diretto da Giorgio Gallione, al Teatro della Pergola da martedì 7 a domenica 12 marzo, siamo di fronte a un reinventato esempio di teatro canzone, sostenuto e arricchito da tre chitarristi/cantanti come Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. In scena s’intrecciano le canzoni di Fabrizio De Andrè con le rivelazioni profetiche di Pier Paolo Pasolini. Una produzione del Teatro dell’Archivolto.
“Quello che non ho è una forma di teatro canzone che si interroga sulla nostra epoca – racconta Neri Marcorè – solo in apparenza si parla del passato, ma in realtà al centro c’è il futuro, partendo dal nostro presente. Prendiamo spunto da coloro che già trent’anni fa avevano previsto molte situazioni del mondo occidentale e della politica italiana: Pasolini con le sue visioni lucide e beffarde, De Andrè con il suo sguardo eccentrico, di uno che, privo di pregiudizi, guardava le cose senza cercare la comodità e il conformismo”.
Viaggiando “in direzione ostinata e contraria”, si favoleggia del Sesto continente, un’enorme Atlantide di rifiuti di plastica (grande due volte e mezzo l’Italia) che galleggia al largo delle Hawaii; di evoluti roditori, nuovi padroni del mondo, che inaugurano il regno di Emmenthal (dopo Neanderthal); di surreali, realissime interrogazioni parlamentari che lamentano la scomparsa di Clarabella dai gadget dell’acqua minerale; di guerre civili causate dal coltan, il minerale indispensabile per far funzionare telefonini e playstation, di economia in ‘decrescita felice’ che propone la pizza da un euro (una normale margherita, grande però come un euro), costruendo così un mosaico variegato di storie, anche in forma di canzone, che si muove tra satira, racconto e suggestione poetica.
“De Andrè e Pasolini erano coraggiosi e scomodi, non avevano paura di nascondere il proprio pensiero anche se non era ‘conforme’ – prosegue Marcorè – De Andrè era un rivoluzionario: vale su tutti l’esempio della Buona novella, scritto nel periodo delle contestazioni politiche. Anche lui contestato perché scrisse che non c’è nessuno più rivoluzionario di Gesù Cristo. Pasolini ha pagato con la morte il suo essere scomodo: tanti gioirono della sua scomparsa e negli anni successivi il perbenismo ha ammantato l’opinione pubblica, determinando un colpevole ostracismo nei suoi confronti”.
Come può un artista, un intellettuale, raccontare a chi non l’ha vissuto cosa è stato il nostro tempo? Una volta chiesero a un direttore d’orchestra, Furtwangler: “Quanto dura il concerto di Mozart che lei dirigerà stasera?” E il direttore rispose: “Per lei dura quarantadue minuti… per chi ama la musica dura da 300 anni!” Stiamo producendo orrori e miserie, ma anche un tempo fatto di opere meravigliose, quadri, musica, libri, parole. Eredità e testimonianza della civiltà umana sono le frasi di Leonardo “seguiamo la fantasia esatta”, di Mozart “siamo allievi del mondo”, di Rameau “trovo sacro il disordine che è in me”, di Monet “voglio un colore che tutti li contenga”, di Fabrizio De Andrè che cantava “chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione, e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi, per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”, fino alle utopiche provocazioni di Pier Paolo Pasolini “è venuta ormai l’ora di trasformarsi in contestazione vivente”.
“Le parole di De Andrè e Pasolini sono sferzate e invettive che trovano consenso, perché il pubblico ne avverte ancora l’urgenza – riflette Neri Marcorè – ma questo alla fine conta poco: tante derive vanno avanti comunque. Se uno ne è consapevole, credo sia meglio: essere informati è già un primo passo”.
Dal tessuto narrativo, basato su episodi di cronaca internazionale, riflessioni di carattere economico e sociale, idealmente emerge un dialogo, etico e politico, tra le narrazioni dell’Italia e del mondo lasciateci in eredità da due artisti lontani tra loro, ma curiosamente spesso in assonanza.
“Quello che non ho funziona – conclude Marcorè – è ‘leggero’, pur contenendo molti passaggi satirici. Ci sono storie di sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, di esclusione, di ribellione, di guerra e di illegalità, rilette con un filtro grottesco, ghignante e quasi aristofanesco”.
Durata: 1h e 25’, atto unico.
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Firenze
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Dal lunedì al sabato: 9.30 / 18.30
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Matteo Brighenti
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