Elementi. 20 opere tra cui alcune di grandi dimensioni. In mostra ‘Superficie 110′, una tela del 1950 che annuncia il recente passaggio dell’artista dalla figurazione a una personale astrazione segnica.
Attraverso una ventina di opere anche di grandi dimensioni la Galleria Tega di Milano rende omaggio a Giuseppe Capogrossi con l’esposizione “Elementi”. La mostra s’avvia con “Superficie 110”, una splendida tela del 1950 ( presentata lo scorso anno al Peggy Guggenheim di Venezia ) che annuncia il recente passaggio dell’ artista dalla figurazione a una personalissima astrazione segnica.
Infatti Capogrossi, nato a Roma nel 1900, aveva lungamente coltivato il suo estro pittorico in compagnia di Mario Mafai e di Scipione partecipando quindi alla fondazione della cosiddetta “Scuola romana”. Nel 1949, alla soglia dei cinquant’anni (e con una solida reputazione alle spalle scandita da mostre in spazi prestigiosi e da inviti alle biennali veneziane), passerà alla pittura non figurativa, dopo una breve transizione di stampo neocubista, legandosi al “Gruppo Origine” e iniziando la serie delle “superfici” di cui questa appena citata è un interessante esempio.
Come mai un simile improvviso e radicale mutamento espressivo con la proposizione ripetuta di un “segno” che sarebbe diventato il suo elemento di immediata individuazione e distinzione? Maurizio Fagiolo Dell’Arco, dopo aver rinvenuto in un baule del maestro la chiave di lettura di una tale trasformazione, ha scritto: “Quel segno non era il capriccio di un pittore che, per non sentirsi vecchio, inventava un modulo astratto: era la matura evoluzione di una ricerca che muoveva (non era prevedibile?) dalla figura e dal paesaggio”.
Tornando alla rassegna milanese possiamo osservare come questa iniziale tela monocromatica ad andamento prevalentemente sinusoidale lasci quindi il passo a “Superficie Ac248” dell’anno seguente caratterizzata da una equilibrata conquista dello spazio da parte delle “forchette” e da lievi sottolineature di colore nei toni del giallo, del rosso e del verde. La “Superficie 37” del 1952 si scioglie invece in un allegro incontro policromo e in un arlecchinesco, suggestivo memento dell’antica figurazione. Ma probabilmente si tratta solo di un inganno ottico o della presunzione di voler leggere le immagini oltre le intenzioni dell’autore dal momento che “Superficie 11b” del 1953 dispiega le tipiche tracce secondo l’intimo rigore compositivo che sposa l’armonia e si compiace della lirica presenza di un intenso tratteggio di rosso. Non a caso la tela era stata donata dall’autore all’amico poeta Sandro Penna che ne aveva apprezzato l’essenziale, organica struttura.
Passo dopo passo ci si accosta alla avvolgente “Superficie 120” del 1954, dove i neri si proiettano minacciosamente verso il centro, e ci si smarrisce nel mare ritmicamente decorato di “Superficie 137” del 1955 su cui spiccano gli elementi distintivi di un mondo misterioso. Il tragitto, dal punto di vista cronologico, si conclude con un paio di opere della metà degli anni Sessanta che dimostrano ancora una volta come l’innovativo e “scandaloso” gesto di Giuseppe Capogrossi riuscisse in ogni occasione creativa a trovare elementi sempre nuovi e imprevedibili da sottoporre all’attenzione e alla percezione di tutti coloro in grado di specchiarsi emozionalmente in essi.
La mostra che si concluderà il 24 gennaio, sarà accompagnata da un catalogo con testi di Luca Massimo Barbero e di Luciano Caprile.
Galleria Tega
via Senato, 20 Milano
http://www.galleriatega.it/ita/
lunedì - sabato 10/13 - 15/19
ingresso libero