di Maria Luisa Runti
Calorosissimi applausi hanno coronato il debutto alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti di Trieste de “Il Metodo” (Il metodo Grönholm) di Jordi Galceran Ferrer. Testo che lo ha reso celebre a livello internazionale e da cui è stato realizzato anche un film con la regia di Marcelo Piñeyro.
Quattro managers, tre uomini ed una donna, chiusi in una stanza pronti a battersi in un confronto senza esclusione di colpi per il conseguimento della carica di direttore generale alla multinazionale svedese Dekia. Un sottile, raffinato quanto crudele gioco psicologico al massacro pur di conseguire l’obiettivo. Gioco che inizia quando squilla un telefono nero a centro scena, unico contatto con l’azienda che fornisce istruzioni su come si sarebbe svolta la prova attitudinale. La prima notizia è che fra i quattro vi è uno psicologo dell’azienda stessa preposto ad osservare e valutare… ma non vi è la certezza che sia vero. Inganni reciproci, indizi veri con piste false in un continuo crescendo di suspence e, nel contempo, di apparente verità nel racconto delle proprie vicende umane personali pur di conseguire l’ambita carica. Straordinaria la scena in cui ciascuno deve indossare un cappello che delinea un personaggio nel personaggio. Un prete, un torero (che in realtà ricorda più un Unno con un corno rovesciato), un pagliaccio ed uno showman. Formalmente ciascuno confessa i propri drammi e debolezze, accompagnati da cinismo e gioco, quando serve. Ritmi serrati e significativi silenzi si alternano a magnifici, ambigui duelli verbali dove ironia, diplomazia ed introspezione psicologica sono sospesi a fil di lama nell’attesa del giudizio finale. Il testo, ispirato ad autentiche tecniche di selezione del personale, documentate in manuali di specialisti della materia, riserva un finale imprevedibile, di fortissimo impatto emozionale. Eccellente la prova dei quattro protagonisti: Maria Grazia Plos, Adriano Giraldi, Maurizio Zacchigna e Riccardo Maranzana. Ciascuno ha saputo cogliere le sfumature del proprio personaggio con raffinata forza dialettica ed espressiva in un compatto affresco corale scandito da molteplici sfaccettature introspettive e psicologiche che la regia di Andrea Collavino ha molto ben evidenziato. A Collavino si devono anche scene, costumi e luci, essenziali ed incisive nel gioco del bianco e nero impreziosito dalla nota cromatica apportata dai cappelli e dalla perfetta scelta dei colori delle cravatte dei tre protagonisti maschili. Meritatissimi applausi per uno spettacolo da gustare e rivedere.
Si replica sino al 29 marzo 2015
MARIA LUISA RUNTI
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