di Maria Luisa Runti
Superbo, meritatissimo successo il primo settembre u.s. alla Cankariev Dom di Ljubljana per l’Opera Nazionale Cinese di Pechino (CNOH) che ha presentato una straordinaria edizione di Turandot. CNOH è costituita da una compagnia di canto, un coro, un’orchestra sinfonica nonché da un modernissimo reparto di scenotecnica. La compagnia ospita molti insigni artisti lirici, la maggior parte dei quali hanno vinto concorsi e premi di rilievo sia in patria che all’estero. Da oltre mezzo secolo realizza importantissime produzioni con tournee in tutto il mondo dedicando una particolare attenzione all’opera italiana. Luciano Pavarotti, Placido Domingo, José Carreras, Montserrat Caballe, Jessye Norman, Renée Fleming, Angela Gheorghiu, Jo Sumi, Marcello Giordani, Salvatore Licitra, Ramon Vargas, Dmitri Hvorostovsky, Andrea Bocelli, Elena Rossi, Hayley Westenra sono stati soltanto alcuni dei prestigiosi artisti ospiti della CNOH. La loro prima produzione di Turandot risale al 1989. Da allora ha girato il mondo. Nel 2012 ha incantato il pubblico italiano all’ Auditorium della Conciliazione in Roma e nello scorso agosto quello del Festival Puccini a Torre del Lago.
Turandot, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, fu lasciata incompiuta da Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano. Si dovette attendere il 2001 per ascoltarne un nuovo finale commissionato a Luciano Berio dal Festival de Musica de Gran Canaria, basato anch’esso sugli abbozzi lasciati dall’Autore e ufficialmente riconosciuto dalla Ricordi. Il soggetto dell’opera, ispirato al nome dell’eroina di una novella persiana, fu tratto dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi. Più esattamente, il libretto dell’opera di Puccini si basa, molto liberamente, sulla traduzione di Andrea Maffei dell’adattamento tedesco di Friedrich Schiller del lavoro di Gozzi. La prima rappresentazione ebbe luogo alla Scala di Milano il 25 aprile 1926.
Straordinaria e proficua la collaborazione fra il Ljubljana Festival e l’Opera Nazionale Cinese di Pechino, come è stato sottolineato brevemente in apertura nei saluti di benvenuto dal Direttore Artistico e Generale del Festival Darko Brlek e dall’Ambasciatore cinese H.E. Ye Hao.
Yu Feng ha mirabilmente diretto l’orchestra con una concertazione finissima ed incisiva che ha attraversato registri timbrici e tonali di ottima potenza espressiva nel rispetto della partitura pucciniana. Una lettura precisa con un totale, coinvolgente crescendo armonico e suggestioni cromatiche di grande forza. Superba la fusione di archi e fiati nel dialogo con gli altri strumenti (preziose le arpe) e con il coro, molto ben diretto da Chen Bing. Wang Wei ha delineato la sua Turandot con egregia vocalità ed appassionato coinvolgimento attoriale spaziando in un ampio registro cromatico armonico che ha evidenziato intime riflessioni interpretative: fra la veemenza e rigore di alcuni passaggi (ottima l’aria “In questa reggia”) alla sofferta dolcezza ed al lirismo poetico del finale. Li Shuang, nel ruolo di Calaf, è stato alquanto convincente. Bellissima voce, calda, robusta, pastosa e luminosa ad un tempo, dotata di un pregevole squillo nel settore acuto. Ha caratterizzato alla perfezione i diversi, molteplici risvolti umani e psicologici del personaggio. Superba tecnica, registri omogenei ed armonici, notevoli soprattutto nella romanza “Nessun dorma” del finale. Magnifica la Liù di Yao Hong. Interpretazione sofferta, intensa, struggente, attenta nel fraseggio e nella calda, raffinata coloritura dei suo accenti espressivi, ha toccato registri di preziosa armonia, agile negli acuti, dolce nei morbidi filati. Applausi a scena aperta per la romanza “Signore, ascolta!” e per l’aria “Tu che di gel sei cinta”. Di buon livello l’interpretrazione di Geng Zhe (Ping), Li Xiang (Pang) e Liu Yiran (Pong), soprattutto nel terzetto delle maschere. Hanno egregiamente completato la compagnia di canto Tian Hao (Timur), Wang Haimin (Altoum) e Zhang Peng (Mandarino). Alquanto di maniera la regia di Wang Huquan, in particolare nei movimenti delle masse, ma comunque efficace nella sua resa generale. Straordinaria la scenografia di Ma Lianqing che, pur nel rispetto della tradizione, ha apportato un tocco di innovazione stilistica molto elegante e scarna. Linearità geometrica e raffinato contrasto di cromie (marrone cupo e rosso) associati ad “invenzioni” quasi multimediali come l’ombra della silohuette di Liù che, dopo la morte, si innalza al cielo in una fascia di luce bianca o la scena in cui le danze delle ancelle sembrano essere sospese fra terra, acqua e cielo in una sorta di magico, poetico acquario a fondo scena. A tono ed in linea con la scenografia i costumi di Zhao Yan. Eleganti in armoniche e raffinate, vivaci cromie. Eccellente ed insolita l’introduzione del bianco per alcune scene di danza nel finale, la cui coreografia si deve a Wang Quan, dove le danzatrici sembrano librarsi nell’aria a guisa di candidi gabbiani. Magico e pregevole il disegno luci di Zhou Zhengping. Ripetute chiamate alla ribalta e calorosissimi applausi hanno coronato il successo della serata nel teatro gremito.
MARIA LUISA RUNTI
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