di Maria Luisa Runti
Dopo il trionfo in anteprima assoluta, il 4 agosto, nella città natale di Bosch, ‘s-Hertogenbosch, che sta celebrando il 500° anniversario della sua morte, “Le jardin des délices”, eccellente performance della coreografa Marie Chouinard, ispirato allo straordinario trittico di Bosch, ha debuttato in prima nazionale il 14 agosto al Castello Tito Gobbi di Bassano del Grappa nell’ambito del prestigioso Festival “Operaestate”. Hieronymus Bosch (nome d’arte di Jeroen Anthoniszoon van Aken) rappresentò con grande, visionaria ed onirica ironia, i conflitti dell’uomo rispetto alle regole imposte dalla morale religiosa. La ricchezza di inventiva nelle sue opere, da allora, ha chiamato in causa numerosissimi studiosi e dottrine diverse, tra cui la psicoanalisi, ciascuna delle quali offrì una propria lettura, talvolta anche non compatibile storicamente, sottolineandone gli aspetti trascendenti ed irrazionali: ne sono esempio le prime elaborazioni di Martin Lutero e le opere di Sebastian Brandt ed Erasmo da Rotterdam. Il Giardino delle delizie è ritenuto il capolavoro e l’opera più ambiziosa dell’artista, profondamente complesso e ricco di simbologia. La prima documentazione storica del dipinto risale al 1517, un anno dopo la morte di Bosch, quando Antonio de Beatis, un canonico di Molfetta, scrisse « …vi sono dei pannelli sui quali sono stati dipinti oggetti stravaganti. Rappresentano mari, cieli, foreste, prati, e molte altre cose, come individui che strisciano fuori da una conchiglia, altri che producono uccelli, uomini e donne, bianchi e neri mentre fanno ogni sorta di differente attività e gesto. »
La sua descrizione fu riscoperta solo negli anni sessanta del secolo scorso, donando nuova luce ad un’opera che, a causa della mancanza di una figura religiosa centrale, fino a quel momento venne considerata come un’atipica pala d’altare. Le visioni rappresentate sono estremamente enigmatiche, tanto oscure da far credere ad alcuni studiosi che rimandino a filosofie o dottrine esoteriche a lui contemporanee ed a noi oggi sconosciute mentre lo storico d’arte Erwin Panofsky, nel 1953, affermò: “non posso fare a meno di credere che il vero segreto dei suoi magnifici incubi e fantasticherie debba ancora essere svelato. Abbiamo scavato alcune brecce attraverso la porta di una stanza chiusa; ma in qualche modo non ci sembra d’aver trovato ancora la chiave”. Durante le prime decadi del XX secolo l’opera di Bosch visse un nuovo periodo d’oro, tornando alla ribalta nel panorama artistico contemporaneo. Le fantasie dei primi surrealisti si espressero in misteriosi paesaggi, basati su di un’immaginazione irruente ed incontrollata che si connetteva all’inconscio-subconscio umano. Non si può non pensare alle opere di Joan Mirò, Salvador Dalí, René Magritte e Max Ernst che rammentano con forza il linguaggio immaginifico di Bosch, considerato come un vero e proprio maestro.
Traendo ispirazione da questo emblematico trittico la coreografa Marie Chouinard è la sola che poteva confrontarsi con l’universo onirico e misterioso di Hieronymous Bosch. Le sue creazioni sono considerate “un’odissea attraverso la storia dell’umanità”, e in trentasette anni di attività, di cui venticinque con la sua compagnia, Chouinard (ora anche direttrice della Biennale Danza di Venezia) ha creato più di cinquanta produzioni coreografiche, mentre ha esordito come danzatrice nel 1978, imponendosi subito come uno dei nomi più interessanti della danza contemporanea.
Ha realizzato uno straordinario balletto che ha ammaliato e stregato il foltissimo pubblico presente nel cortile del Castello Tito Gobbi. Tre quadri, uno per ogni pala, in un susseguirsi incalzante di raffinate gestualità destrutturate dei danzatori. Chouinard ha scelto dei significativi particolari da ogni parte del dipinto, che venivano proiettati su due piccoli schermi rotondi ai lati del proscenio, facendoli magistralmente interpretare dai suoi danzatori. Inizialmente, a trittico chiuso, appare una grande sfera che rappresenta la terra, piena dei suoi misteri e della sua natura selvaggia poi, magicamente, appare il dipinto in tutta la sua bellezza. I ballerini, quasi anime evanescenti con plastica gestualità, abbandono e grazia iniziano la loro interpretazione dell’opera di Bosch quasi fossero essi stessi il quadro, improvvisamente vivente. Ironia, ambiguità, gioco si alternano a lirismo e poesia sviscerando con profonda introspezione i particolari interpretati. Personaggi, animali surreali, cavalli, pesci, uccelli, maiali prendono forma in un susseguirsi armonico di magiche movenze e lirismo quasi fondendosi nella prima pala. Un minuto di buio che ci porta alla seconda pala, il Giardino delle delizie. Fantastico l’impatto scenografico assolutamente contemporaneo. Fondale rosso, scena di sapore Beckettiano, con bidoni che rotolano, una scala altissima, sottili e lunghi pali con teste mozze, un danzatore-statua su alti cubi, un miscuglio di oggetti e di forme in un vortice orgiastico e violento con grida, canti e suoni gutturali cui danno voce, pressochè all’unisono, tutti i danzatori. Volteggi e danza li portano ad introdursi, quasi impercettibilmente, in una grande bolla di plastica trasparente, fruscii d’acqua, un riparo inconscio per sfuggire alla morte rappresentata negli schermi a lato, da una spada che trafigge un uomo, particolare della pala centrale. I corpi si rincorrono e scontrano in scene di lotta e cannibalismo fra scheletri e “totem” con rituali primordiali sottolineati dalla stupenda musica originale di Louis Dufort. Due enormi chalumeaux, in cui una danzatrice infila le braccia, la trasformano in una sorta di gigantesca, aggressiva libellula mentre sugli schermi rotondi appaiono due occhi cerulei incorniciati da candida pelle. Un palpitare di ciglia innocente e misterioso, una richiesta di perdono al Signore? Ancora un minuto di buio e la scena si riapre sulla terza pala: una visione dell’Inferno che rappresenta i tormenti della dannazione. Noto anche come l’Inferno musicale, per i numerosi strumenti presenti, in particolare nella zona inferiore del pannello, usati come mezzi di tortura per le punizioni carnali dei dannati, inflitte da curiosi demoni-grilli. I danzatori, a guisa di ombre, sembrano sdoppiarsi fra realtà e dipinto consci di aver “attraversato” la vita dal Paradiso terrestre, al godimento sfrenato nel giardino delle delizie, alle pene degli inferi ma… rimane un barlume di speranza quando si avvicinano ad un grande, frondoso albero divenendo, loro stessi, foglie.
Eccellente l’interpretazione di tutta la compagnia di danza: Sébastien Cossette-Masse, Paige Culley, Valeria Galluccio, Leon Kupferschmid, Morgane Le Tiec, Lucy M: May, Scott McCabe, Sacha Quellette-Deguire, Carol Prieur e Megan Walbaum. Trionfale l’accoglienza del pubblico che li ha chiamati ripetutamente alla ribalta.
MARIA LUISA RUNTI
© Riproduzione vietata