Intervista esclusiva al grande fotografo fiorentino
di Maria Luisa Runti
Schietto, schivo, quasi inconsapevole della grandezza della sua Arte, Gianni Boradori rappresenta un’icona a se stante nel mondo della fotografia. Migliaia i suoi scatti che ci raccontano le storie più diverse, cogliendo sempre nel segno. Viaggiatore instancabile, soprattutto nei paesi dell’estremo Oriente ma anche in America e ovunque lo conduca il suo desiderio di avventura che lo porta a vivere fra genti diverse, per studiarne volti ed espressioni, per cogliere unici momenti di vissuto. Cattura un istante che è parte della realtà, guardando e cogliendo l’attimo che vivrà eterno, suggerendo emozioni e visioni che ciascuno di noi plasmerà nel proprio animo, nutrendosene. La grande foto è l’immagine eloquente di un’idea, del cogliere un attimo unico ed irripetibile, del comunicare senza parole. Narrare una storia per immagini, anche con un solo scatto, potrebbe sembrare ardua impresa ma Boradori ci riesce grazie al suo talentuoso occhio percettivo. Attrezzatura e tecnica sono soltanto il supporto di mente ed occhio per cogliere ed indagare l’attimo fuggente e fissarlo per sempre. La sua ricerca spirituale spazia tra verità e bellezza, sofferenza e durezza, sogno e pensiero onirico non tralasciando, a volte, il “divertissement” come nella carellata di fotografie che vi proponiamo.
Straordinari i suoi diari di viaggio, semplici nella scrittura, efficaci ed incisivi nella narrazione. Spaccati di altri mondi ed etnie che colpiscono il lettore mettendo a nudo realtà che diversamente non avremmo mai conosciuto.
Quando è nata questa tua passione?
Ho iniziato a fotografare dacchè ero poco più di un bambino; un po’ per curiosità ma, soprattutto, per il desiderio di fermare in un click emozioni e situazioni che valesse la pena impressionare su pellicola. Una passione, un gioco, che dura ormai da tanto tempo, da quando appunto, poco più che un ragazzo, comprai la prima Kodak di plastica a fuoco fisso. Col passare degli anni l’interesse è cresciuto e con esso sono arrivate anche le prime soddisfazioni e qualche buon piazzamento ai concorsi.
Che cosa significa per te il fotografare?
E’ come una lunga catena, formata da tante maglie: l’attrezzatura, la fotocamera, lo sviluppo dell’immagine, la stampa finale. Si, la stampa, quel pezzo di carta che sintetizza lo stato d’animo, la fantasia, il pudore e la gioia nella ricerca delle situazioni da riprendere. Se anche uno solo di questi “anelli” salta i risultati cambiano radicalmente, tutto si appiattisce e rientra in un grande calderone, nel quale non è affatto facile (direi impossibile) trovare soddisfazione per il lavoro fatto.
Il vecchio, amato analogico ha lasciato il posto alle nuove tecnologie. Che ne pensi del digitale?
Le tecnologie e l’avvento del digitale hanno certamente rimescolato le carte in gioco, contribuendo non solo e non tanto a facilitare la ripresa, quanto piuttosto ad ottimizzare il lavoro di post produzione che avviene dopo lo scatto, consentendoci di personalizzarlo e di ottenere in tal modo dei risultati, almeno per ciò che mi riguarda, diversamente irraggiungibili! Avvicinarmi all’informatica non è stata esattamente una passeggiata… ma con tenacia e studio sono riuscito a raggiungere una dimestichezza che mi consente di ottenere immagini di un certo livello qualitativo. Per me la fotocamera è quasi un terzo occhio dove poter raccogliere istanti di vita che un attimo prima o un attimo dopo il fatidico click non sarebbero più la stessa cosa. Necessitano riflessi pronti, buona attrezzatura, la gente, curiosità, un pizzico di faccia tosta, un minimo di fortuna e tanto entusiasmo per questa straordinaria passione, senza dimenticare che una volta “fatto click” si è solo a metà dell’opera…
Parlami dei tuoi viaggi…
Negli anni ‘70 ho iniziato a viaggiare e la passione per la fotografia mi ha regalato importanti occasioni per narrare per immagini ciò che i miei occhi registravano, soprattutto osservando la gente, le loro abitudini, le situazioni più strane, a volte divertenti, a volte drammatiche.
Uno dei tuoi soggetti preferiti sono proprio le persone, i loro volti, il loro vissuto…
Sì, ciò che più amo fotografare è la gente! Probabilmente perché in mezzo alla gente mi ci trovo bene, mi sento a mio agio. Non importa se la vedo camminare sul Ponte Vecchio, se la incrocio sulla Grande Muraglia o nel meraviglioso caos di Manhattan, ciò che per me conta è fissare momenti, situazioni o storie attraverso la fotocamera, che diventa così un prolungamento del mio occhio e della mia mente.
Un pensiero che mi fa ricordare Cartier Bresson… Chi sono i maestri che maggiormente ami o più ti hanno colpito?
Sono sempre stato un cane sciolto a tutti gli effetti, ma spesso mi sono ispirato ai maestri del secolo scorso. In partcolare a quegli autori che hanno fatto la storia del reportage. Da Cartier Bresson a Herwit, Capa, Berengo Gardin, Salgado e tanti altri che mi hanno fatto letteralmente sognare ad occhi aperti.
Affermava Italo Calvino: “Chi ha l’occhio, trova ciò che cerca anche ad occhi chiusi”.
MARIA LUISA RUNTI
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